Si sa, l’Islanda è stato uno dei Paesi più colpiti dalla crisi degli ultimi anni. Ha dovuto affrontare problemi enormi e prendere decisioni difficili.
Però ad oggi, sembra che la situazione economica sia in netto moglioramento tant’è che l’agenzia Fitch ha deciso di aumentare il rating a BBB da BBB meno.
La scelta, leggendo le parole della nota diramata dall’agenzia stessa, è dovuta ai:
“progressi impressionanti che l’Islanda continua a fare nella sua ripresa dalla crisi finanziaria del 2008 e 2009”.
I motivi della ripresa
Secondo gli analisti, i motivi della ripresa islandese sono fondamentalmente due:
- la decisione di nazionalizzare i tre maggiori istituti di credito del Paese: Kaupthing, Glitnir e Landsbanki;
- e il totale rinnovamento dei vertici della finanza, mandando a casa chi non era in grado e mettendo al loro posto nuovi manager capaci e più giovani.
A questo si aggiunga un altro fattore di massima importanza: la sentenza della corte dell’Efta (European free trade agreement) che ha consentito al governo irlandese di non risarcire i risparmiatori britannini e olandesi che avevano investito nei conti Icesave, una controllata di Landsbanki, evitando di alleggerire le casse islandesi di circa 2,6 miliardi.
La ricetta del Presidente
Olafur Ragnar Grimsson, Presidente rieletto, al vertice di Davos dello scorso gennaio, ha parlato del suo Paese e della differente politica economica adottata rispetto all’eurozona:
“la crisi finanziaria globale del 2008 aveva portato l’Islanda sul’orlo del burrone, ma che, da allora, la nazione si è ripresa piuttosto bene facendo cose diverse dal resto del mondo”.
Secondo il Presidente la ripresa economico-finanziaria islandese è dovuta a due fattori fondamentali:
- il primo è stato mettere in atto un politica di riforme sociali e politiche volte a riconquistare la fiducia dei cittadini islandesi. A detta di Grimsson infatti, la crisi globale non è solo economica e finanziaria, ma anche politica e per questo motivo occorre dare dei segnali forti di cambiamento, riformando il sistema decisionale.
- Il secondo fattore è stato non attuare quell’austerity tanto in voga in Europa in questo periodo.
"Noi, le banche , le abbiamo lasciato fallire. Erano banche private, e mi son spesso chiesto perché la gente le consideri come le “sante chiese” della moderna economia.
Perché dovrebbero essere diverse dalle società di telecomunicazione o ferroviarie, o da tante altre aziende? Perché non si dovrebbe permettere che falliscano?"
E dati i risultati che l’Islanda è riuscita a conseguire nell’ultimo anno, la domanda sembra decisamente lecita.
Secondo Grimsson dare alle banche l’idea che possano correre qualsiasi rischio senza subire conseguenze e facendo pagare il conto di questi sbagli ai cittadini è una mossa assolutamente sbagliata che potrebbe causare grossi problemi anche nel futuro.
Il Presidente ha poi concluso dicendo:
“Abbiamo introdotto, in aggiunta, strumenti per il controllo della valuta, ma non misure di austerità, come invece stanno facendo molti leader europei nei loro Paesi”.
Politiche a confronto
Insomma, se facciamo un paragone fra la politica adottata dall’Irlanda e quella messa in atto attualmente nell’intera Eurozona, difficile non rendersi conto di quanto siano diverse e in alcuni frangenti addirittura opposte.
Sono in molti a chiedersi a questo punto se decisioni come quelle prese in Islanda sarebbero possibili anche nel resto d’Europa e a che prezzo. E altrettanti si domandano a questo punto se Draghi e compagni stiano realmente prendendo le scelte giuste per uscire dalla crisi.
Dati i risultati attuali molti potrebbero dire che l’austerity non è necessaria e che gli istituti di credito non vanno salvati. Ma ricordiamo che la politica islandese sta dando sì i suoi frutti, ma a spese dei risparmiatori che hanno perso tutto dopo il fallimento delle varie banche.
Qual è quindi la ricetta giusta per uscire dalla crisi?
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