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di Glauco Maggi

In frenata i vaccinati negli USA a 100 giorni dall’insediamento presidenziale

Glauco Maggi

10 maggio 2021

In frenata i vaccinati negli USA a 100 giorni dall'insediamento presidenziale

Siamo vicini alla fine del quarto mese di presidenza di Biden, ed è doveroso tirare un bilancio sulle iniziative della sua amministrazione nel campo ancora cruciale per la vita degli americani, la risposta al COVID-19. Come va la battaglia contro la pandemia, dunque?

Avevo scritto in gennaio, nella settimana dell’insediamento di Biden, “credo che tutti, io mi metto in prima fila, dobbiamo fare il tifo perché Biden abbia successo.…. Prima di valutare, ed eventualmente criticare con giudizi di merito, le mosse dell’amministrazione Democratica, è giusto concedere a Biden come minimo i primi 100 giorni”. Trump, appena eletto, non era certo stato trattato così dai critici di sinistra che lo odiavano a prescindere. Io invece ritengo che non avere pregiudizi sia un elemento di base della correttezza informativa. Ora è tempo.

Quando Biden si è insediato, il 21 gennaio, le dosi di vaccino somministrate in media quella settimana erano circa un milione al giorno. Innegabilmente, il programma (scientifico, farmaceutico, produttivo, finanziario, logistico) denominato Operation Warp Speed, messo in atto dall’estate 2020 dal vecchio presidente, aveva preparato la strada al nuovo. Il quale, come ringraziamento, disse che aveva “trovato un disastro”.

Il 26 gennaio Biden proclamò che il suo obiettivo era di vaccinare 100 milioni di americani in 100 giorni, un obiettivo che lasciò perplessi per la sua modestia. Infatti il successo era scontato, al ritmo già in essere di un milione di vaccini quotidiani somministrati con le due prime autorizzazioni (Pfizer e Moderna), e in attesa di una terza in arrivo (il 27 febbraio la FDA - la Food and Drug Administration, authority per medicine e il cibo - diede l’OK anche a Johnson & Johnson, che richiede una sola iniezione).

Quindi Biden usò la tattica, del politico navigato, di promettere un risultato basso per gloriarsi poi di averlo superato alla grande. Il presidente DEM, il 59esimo giorno, ha annunciato la “vittoria” che è stata, purtroppo, effimera. Il 13 aprile l’amministrazione Biden (attraverso la FDA e il CDC, Centro governativo per il controllo delle malattie, istituzioni dipendenti entrambe dal ministero della Salute) ha imposto lo stop alla somministrazione del vaccino J&J a causa di 7 casi di complicazioni (trombosi) emersi su 6,8 milioni di dosi somministrate. Anche se la percentuale di casi era statisticamente irrisoria, era doveroso indagare a fondo, per quanto possibile clinicamente, sulla natura del nesso tra il vaccino e quell’effetto secondario. Ma assolutamente sbagliata - e gli effetti negativi si stanno vedendo - è stata la decisione dello stop. L’allarme scatenato dal divieto di usare il vaccino J&J si è trasmesso immediatamente nell’opinione pubblica, investendo anche gli altri due vaccini.

Il messaggio delle autorità, in sostanza, è stato devastante. Come dire: il vaccino deve causare problemi gravissimi, se le autorità scientifiche e il governo ne bloccano addirittura la somministrazione. Per chi era già vaccinato, e non importa con quale vaccino (parlo per esperienza diretta), è stata comunque una brutta sensazione. Per chi ancora non lo era è stata una doccia fredda, paralizzante addirittura per chi era già indeciso.

Era prevedibile che se il nemico da battere nei primi mesi della campagna era la scarsità dei vaccini distribuiti e delle strutture logistiche di sostegno, via via che le ditte farmaceutiche acceleravano la produzione e la rete delle sedi vaccinali si allargava, l’ostacolo maggiore diventava la “resistenza” a vaccinarsi nella fetta di popolazione prevenuta, scettica, esitante.

I vaccini? Un fatto politico

I sondaggi avevano evidenziato fin dal dicembre scorso che quello sarebbe stato un problema. In quel mese, secondo il sondaggio sull’atteggiamento della gente verso la vaccinazione curato dalla KHN (Kaiser Foundation, specializzata in materia sociale-sanitaria), il 34% degli americani diceva “lo faccio appena possibile”, il 39% diceva “aspetto e vedo”, il 9% “lo farò’ se obbligato”, il 15% “mi rifiuto”. Nel febbraio 2021, con il 18% di vaccinati, il 37% diceva “appena possibile”, il 22% “aspetto e vedo”, il 7% “se obbligato”, il 15% “mi rifiuto”. Lo scorso marzo, con il 32% di vaccinati, il 30% diceva “appena possibile”, il 17% “aspetto e vedo”, il 7% “se obbligato”, il 13% “mi rifiuto”.

In quel contesto di esitazione e/o rifiuto in una parte ancora tanto rilevante della popolazione (oltre un terzo) le energie dell’amministrazione dovevano essere spese tutte, senza tentennamenti, in una campagna orientata ai fattori centrali e positivi della battaglia contro il COVID. La produzione e la distribuzione dei vaccini non erano più un impedimento, e tutti gli americani più vecchi di 16 anni avevano il via libera. La gestione della psicologia di massa della gente doveva essere l’aspetto fondamentale per vincere la corsa alla immunità il più in fretta possibile. Su questo terreno, non c’è stato solo l’autodistruttivo stop del vaccino del 13 aprile.

Biden aveva speso gli ultimi mesi prima del voto dello scorso novembre nel riversare negatività e accuse sull’amministrazione Trump, perché il Covid killer doveva fare paura, essendo la carta politicamente vincente. Kamala Harris, l’allora candidata vicepresidente, arrivò a dire, quando gli sforzi di creare i vaccini e di renderli disponibili entro fine anno, erano vicini al successo, che lei non si sarebbe mai fidata delle autorizzazioni delle agenzie sanitarie della amministrazione Trump. Chi semina vento raccoglie tempesta. La guerra ai “vaccini cattivi di Trump”, anche se poi quegli stessi vaccini sono diventati “buoni” con il cambio di presidenza, ha di sicuro contribuito a creare uno zoccolo duro antiwax. Poi ci si è messo il dottor Anthony Fauci - il super consulente medico di Biden sulla pandemia - con i messaggi confusi sulle maschere: “una non basta ed è meglio averne due”, ha detto a un certo punto. “E comunque la devi tenere anche se sei vaccinato e sei tra altri vaccinati”, ha aggiunto in una delle sue mille interviste.

Biden ha fatto, e sta facendo, anche di peggio. Dopo aver annunciato in una solenne conferenza stampa del 27 aprile che il CDC, la sua stessa agenzia sanitaria, aveva disposto che i vaccinati non devono avere la maschera se sono all’aperto, il presidente - che è vaccinato da metà dicembre, mentre Trump era ancora alla Casa Bianca - ha poi continuato a farsi vedere in giro, all’aperto, con la maschera.

Non mandare segnali di ottimismo, ragionato e scientifico, ma insistere nella narrazione che il Paese non sta, in effetti, vincendo la battaglia del Covid anche se ha milioni di vaccini, vuol dire perpetuare un regime psicologico opprimente che diffida di quegli stessi vaccini. Per uscire da 15 mesi di buio, insomma, i vaccini non suonano più così fondamentali per i refrattari, anche se tutti sanno, Biden compreso, che lo sono.

Il risultato è che l’immunità di gregge appare ora un bersaglio sfuggente, mentre doveva essere imminente. Fauci, che diceva qualche mese fa che ci volevano il 70-75% di vaccinati, poi ha alzato il livello a 80-85% della popolazione. Avevo titolato il mio Blog del 29 marzo “Le vaccinazioni in America? Volano e si avvicinano al gregge”, perché allora i numeri avallavano la proiezione. Poi è arrivato lo stop del vaccino J&J. Anche se è durato solo 10 giorni, la leggerezza e irresponsabilità politica della decisione presa ha contribuito a invertire il trend.

Alla fine il vaccino J&J anti Covid è stato promosso, con la sola aggiunta nel bugiardino di quel possibile e rarissimo effetto secondario (trombosi), rischio tra i rischi. Conclusione: il 4 maggio, il numero delle vaccinazioni quotidiane negli USA è calato sotto il milione al giorno. Dal 19 gennaio era successo soltanto una volta. Biden si è sgonfiato. Convincere almeno la metà del 34% dei recalcitranti a vaccinarsi sarà la sua prima sfida seria.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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