I 5 motivi per cui dovresti assolutamente evitare il Dogecoin

Pierandrea Ferrari

02/05/2021

Il Dogecoin, quest’anno, ha sorpreso un po’ tutti. Ma secondo gli analisti ci sono almeno 5 buoni motivi per non investire il proprio capitale sulla crypto. Ecco quali.

I 5 motivi per cui dovresti assolutamente evitare il Dogecoin

Ci sono almeno 5 motivi per cui gli investitori retail dovrebbero evitare il Dogecoin, la crypto creata ad immagine e somiglianza di un popolarissimo meme, nel lontano 2013. A dirlo un pugno di analisti, che evidentemente non si è fatto contagiare dalla formidabile bull run della più improbabile delle divise digitali, capace di toccare nuovi picchi a 0,43 dollari - 55 miliardi di market cap - prima di ritracciare.

Quali, dunque? Dalla limitata utilità all’assenza di un vero driver, ecco le “red flag” da tenere d’occhio prima di decidere se fare trading sulla crypto.

1. Utilità limitata

Il primo motivo, a ben vedere, è già di per sé una sentenza. Il Dogecoin non è utile, o meglio, in termini di applicabilità, non sembra trovare spazio nel mondo reale. Una debolezza condivisa con buona parte delle crypto presenti sul mercato, che a fatica - vista l’alta volatilità - stanno provando ad affermarsi come potenziale metodo di pagamento per il futuro.

Ma le condizioni in cui versa il Dogecoin sono persino peggiori rispetto alla media delle crypto. Negli ultimi mesi i pump del prezzo, uniti alle rovinose cadute, si sono susseguiti con una frequenza sorprendente, e la disponibilità delle aziende di adottare il Doge per i pagamenti rimane a dir poco tiepida.

2. Offerta illimitata

Inoltre, a differenza del Bitcoin, questa crpyto non ha un “tetto di produzione”. Ovvero, con il passare degli anni, ci saranno sempre più Dogecoin sul mercato, o almeno fino a quando ci sarà qualcuno disposto a minarli. Secondo le stime, i token Doge in circolazione sono attualmente 129,3 miliardi, ma questo volume si gonfia ogni anno al ritmo di oltre 5 miliardi di unità.

Per intenderci, le bull run del Bitcoin affondano le loro radici (in parte) negli effetti dell’halving, e cioè nel taglio alle ricompense dei miners. Questa sforbiciata comporta solitamente un rallentamento nell’estrazione di nuovi BTC, aumentando così la percezione di scarsità negli investitori, e quindi il valore del token. Un fattore rialzista sul quale il Dogecoin non può tuttavia contare.

3. Mancanza di differenziazione

C’è da aggiungere, inoltre, che il progetto Doge è monco da diversi anni. Billy Markus e Jackson Palmer, i due sviluppatori che nel 2013 diedero vita alla crypto, hanno da tempo abbandonato la nave, e lo sviluppo del Doge è affidato da allora ad una comunità di fedelissimi dell’asset. Ma queste carenze nel dietro le quinte hanno reso il Dogecoin una crypto a basso tasso di differenziazione, e di fatto simile a decine di valute che non godono tuttavia dello stesso hype.

4. Assenza di un vero driver

Al Dogecoin, poi, manca un vero driver che possa favorire uno ciclico incremento della quotazione. Dietro i numeri del Bitcoin, ad esempio, ci sono dei fattori tangibili, come l’investimento da 1,5 miliardi di dollari di Tesla o l’integrazione della criptovaluta nei sistemi di alcuni colossi dei pagamenti online. Il Dogecoin, invece, è solo hype da social media, con una spolverata di tweet made-in-Musk. Troppo poco per poter immaginare ripetute fiammate del prezzo.

5. Le parole dello sviluppatore Billy Markus

E infine, come postilla, perchè investire in una criptovaluta che lo stesso sviluppatore - il già citato Billy Markus - ha definito inflazionata, con una quotazione “assurda”? E c’è da tenere in considerazione che le parole di Markus si riferivano ad un prezzo di soli 0,08 dollari, sensibilmente inferiore ai 0,32 bigliettoni che servono oggi per mettere le mani sul Doge.

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