Guerra Ucraina: l’inflazione può ancora salire con il blocco del mar Nero

Violetta Silvestri

26 Febbraio 2022 - 12:42

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Con la guerra in corso in Ucraina dagli esiti incerti, si moltiplicano i fattori di preoccupazione per l’inflazione, con i prezzi delle materie prime che possono ancora salire. In focus il mar Nero.

Guerra Ucraina: l’inflazione può ancora salire con il blocco del mar Nero

Sono diverse le dinamiche economiche e commerciali che si stanno muovendo - o bloccando - a causa del conflitto esploso in Ucraina.

Tra queste è sotto osservazione l’andamento dell’inflazione, già diretta verso picchi storici e ora spinta in alto dall’incertezza della guerra in Europa soprattutto sul fronte energetico e delle materie prime.

Lo scenario da guerra, infatti, sta gettando nel caos una delle aree cruciali per spedizioni e passaggio di merci essenziali: il mar Nero, legato al mare d’Azov e fondamentale per traffici di beni quali quelli petroliferi.

Un blocco o rallentamenti di questa via marittima potrebbe esacerbare la pressione sulle materie prime, con sviluppi negativi anche in Italia. Un’analisi.

Perché il mar Nero è importante e cosa c’entra con l’inflazione

Il mar Nero, un’importante arteria per il movimento delle merci all’incrocio tra Europa e Asia, sta improvvisamente attirando l’attenzione del mondo mentre si sviluppa il conflitto in Ucraina.

Una mezza dozzina di Paesi tocca le sue coste, anche se è vitale per molti altri grazie al commercio di energia, acciaio e prodotti agricoli.

In sintesi, i prodotti petroliferi grezzi e raffinati provenienti da Russia, Azerbaigian e Kazakistan passano attraverso terminali di esportazione sul bordo orientale del mare. A ovest si trovano Paesi che dipendono dalle navi che trasportano greggio per soddisfare il loro fabbisogno energetico.

Conosciuta come uno dei granai del mondo, la regione fornisce decine di milioni di tonnellate di cereali e oli vegetali ogni anno dai suoi porti. L’Ucraina è un’importante fonte di acciaio per l’Europa.

Questo già basta per capire quanto strategicamente sia importante il mar Nero e i suoi porti. Il fattore guerra, che significa potenzialmente interruzione o ritardo nelle attività quotidiane commerciali dell’area, si può trasformare immediatamente in meno materie prime, petrolio in primis, e prezzi in aumento.

Petrolio e gas a rischio con blocco mar Nero

La maggior parte del greggio a rischio di un’interruzione delle spedizioni da quest’area non proviene dalla Russia, ma da altri Paesi.

Gli esportatori del Kazakistan, per esempio, hanno molto da perdere con un’interruzione del traffico di petroliere nel mar Nero.

Il terminal CPC, situato appena a nord del porto russo di Novorossijsk, movimenta circa 1,3 milioni di barili al giorno di greggio consegnato via gasdotto dal Kazakistan. Qui anche l’italiana ENI ha la sua quota di affari.

Supsa, più a sud in Georgia, è il punto finale di un gasdotto che trasporta greggio dall’Azerbaigian. La linea ha trasportato circa 31 milioni di barili, equivalenti a 85.000 barili al giorno di greggio nel 2021, secondo dati BP. Quasi il 90% delle esportazioni di greggio del progetto vengono convogliate a un terminal sulla costa mediterranea della Turchia.

E poi Romania e Bulgaria importano greggio attraverso le coste del mar Nero.

Inflazione materie prime e mar Nero: quale legame?

Non solo energia, il mar Nero è essenziale anche per il passaggio di altre materie prime, dalle quali molto dipende l’andamento dell’inflazione.

L’Ucraina e la Russia insieme rappresentano più di un quarto delle esportazioni globali di grano, quasi un quinto del commercio di mais e la maggior parte dell’olio di girasole.

Anche le vicine Romania e Bulgaria sono diventate spedizionieri di colture sempre più importanti. I suoli ricchi e fertili hanno aiutato l’Ucraina a diventare il secondo più grande spedizioniere di grano.

Tali prodotti vengono quindi inviati tramite camion, ferrovia e chiatte ai porti per la spedizione in Asia, Africa e UE.

Secondo il ricercatore UkrAgroConsult, i porti sud-occidentali dell’Ucraina di Odesa, Pivdennyi, Mykolayiv e Chornomorsk gestiscono quasi l’80% delle sue esportazioni di grano.

Le spedizioni si stanno ora fermando, con i porti ucraini chiusi e gli accordi di grano russi in pausa, secondo un sindacato delle esportazioni.

Le partenze dal mar d’Azov sono state sospese giovedì, bloccando più di 150 navi. Anche l’azienda italiana Divella ha lamentato un ritardo di consegna da quell’area.

Buyer come Indonesia e Tunisia stanno già valutando acquirenti alternativi così come Uruguay e India, oltre ad altri Paesi europei.

Infine, occhio anche ad altre materie prime. L’acciaio ucraino rappresenta circa un decimo delle importazioni europee, quindi qualsiasi interruzione degli stabilimenti o delle spedizioni restringerebbe il mercato già teso del continente e aiuterebbe a mantenere alti i prezzi dopo aver raggiunto un record lo scorso anno.

Un mar Nero bloccato dalla guerra non farebbe altro che restringere ancora di più le forniture di quelle risorse già scarse e dai prezzi altissimi.

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