Wolgang Munchau discute uno dei temi più attuali di questi ultimi giorni: la possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Mettendoli sulla bilancia, scrive l’autore sul Financial Times, i costi dell’unione superano i benefici e se il Regno Unito non lascia l’UE, lo fa per ragioni che non sono economiche.
Brexit: pro e contro il mercato unico
Nel discutere i pro e i contro della possibile uscita del Regno Unito dall’UE, il punto più importante da ricordare è il seguente: i termini sono liberamente negoziabili. Ciò significa che le conseguenze economiche dipenderanno in buona parta dai termini stabiliti per l’uscita.
Nel suo articolo sul Times la scorsa settimana, Lord Lawson, ex cancelliere britannico, ha detto che i costi regolatori del mercato unico per l’economia britannica, superano di gran lunga i costi per un’uscita. Di conseguenza, Lawson è favorevole all’uscita. Si tratta di un’analisi corretta che giunge alla conclusione più logica?
Sono d’accordo con la maggior parte della sua analisi, specie il punto secondo il quale il mercato unico porta al Regno Unito più costi che benefici. Per l’UE, il mercato unico è stata una non-invenzione macroeconomica. Il suo impatto sull’aggregato della produzione interna è statisticamente impercettibile.
Il mercato unico ha portato diversi benefici ad alcune economie tra le più piccole dell’UE, specie quelle con una base industriale relativamente estesa. Il Regno Unito è un’economia grande, ma con una base industriale piccola, per un paese del genere il carico regolatore del mercato unico pesa più dei benefici.
Regno Unito: fuori dall’UE sarebbe meglio?
Possiamo dire con questa affermazione che il Regno Unito starebbe economicamente meglio fuori dall’Unione Europea? Per farlo, abbiamo bisogno di due presupposti.
Il primo è che, in caso di uscita, il Regno Unito non faccia immediata richiesta per aderire all’Area Economica Europea (EEA). Del club fanno parte: Norvegia, Islanda e Liechtenstein. Lo scopo dell’EEA è quello di dare ai paesi l’accesso al mercato unico, senza però che questi abbiano alcuna influenza sul sistema decisionale. Dunque, se ritieni che il mercato unico sia una specie di mostro regolatore, non vorrai entrare in un club che ti costringerà a farne parte ancora.
Il secondo grande presupposto è che, pur senza l’adesione agli EEA, il Regno Unito possa avere ancora accesso al libero scambio con l’Unione Europea.
È un presupposto ragionevole?
Credo di sì. La Germania o i Paesi Bassi non si opporranno ad un accordo commerciale con il Regno Unito e, probabilmente, riusciranno a convincere gli altri stati ad accettare questo accordo liberale di ex-appartenenza con il Regno Unito. D’altra parte non è nell’interesse di nessuno che la Gran Bretagna viva uno shock negativo del commercio.
Potrebbe essere più semplice anche per David Cameron, il premier britannico; negoziare un’uscita anziché modificare i trattati. Le modifiche sarebbero necessarie se Cameron volesse mettere in pratica un radicale cambiamento dei rapporti tra UE e Regno Unito. Questa soluzione dovrebbe essere approvata da tutti i membri, dai loro parlamenti e dovrebbe passare per diversi referendum.
La Gran Bretagna può lasciare l’UE?
Le basi legali per un’uscita sono più leggere di quelle per le modifiche ai trattati. L’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europea, uno dei due conosciuti come Trattati di Lisbona, parlano dell’opzione di uscita.
Dovrebbero esserci negoziati tra il governo britannico e le varie istituzioni europee. Tutto sarebbe in palio e la Gran Bretagna potrebbe negoziare un accordo favorevole, oppure no. La mia migliore ipotesi è che un’uscita del Regno Unito la metta in una posizione simile alla Svizzera, il che non sarebbe proprio un disastro economico. Qualsiasi accordo per l’uscita dovrebbe includere, o essere accompagnato, da un accordo commerciale bilaterale. Senza di questo, sarebbe folle lasciare l’UE.
Prima o poi, la Gran Bretagna sarà fuori dall’UE.
Una delle motivazioni più forti di Lord Lawson è il cambiamento della natura dell’UE. Se la Gran Bretagna decide di rimanere un membro, si troverà spinta al di fuori nei processi di integrazione dell’eurozona.
La tassa sulle transazioni finanziarie e l’unione bancaria sono due esempi recenti di un tipo di integrazione che si concretizza senza la partecipazione inglese. Ce ne saranno molti altri. L’Euro ha spaccato l’Unione Europea, o piuttosto la decisione britannica di non farvi parte. Il resto è un inevitabile scioglimento.
Finanza: che fine farà la City di Londra?
Dove piuttosto non sono d’accordo con Lawson è nella sua ambizione di trasformare la City di Londra nel centro finanziario d’Europa. In ogni caso, credo che per il Regno Unito sia meglio sul lungo periodo se perdesse parte dell’affidamento che oggi fa sulla finanza. Tuttavia, pur non essendo d’accordo su questa posizione, lo scopo di trasformare Londra in un polo finanziario Europeo è irreale, che faccia parte oppure no dell’Unione Europea.
La nascente unione bancaria dell’UE potrebbe essere troppo lenta per risolvere la crisi, ma potente abbastanza per scavare un solco tra l’Eurozona e il Regno Unito. Un’unione bancaria significa che l’Eurozona arriverà ad avere un proprio centro finanziario. Non mi viene in mente nulla pensando a cosa possa salvare il ruolo della City nel lungo periodo; eccezione fatta per l’adesione all’Euro. Ovviamente, ciò non accadrà e di sicuro non sara Lord Lawson a richiederlo.
Conclusione
Ad ogni modo, la mia conclusione è pari alla sua: ci possono essere diverse ragioni per le quali il Regno Unito decida di rimanere nell’Unione Europea. Qualsiasi esse siano, non si tratta di ragioni economiche.
| Traduzione italiana a cura di Federica Agostini | Fonte: Financial Times |
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