Con un’instabilità politica ed economica, la crisi nel Paese transalpino potrebbe allargarsi in uno scenario globale.
In Francia si vive un periodo di forte instabilità politica ed economica. Il Paese transalpino si prepara a cambiare il quarto premier in appena 18 mesi. Lunedì 8 settembre è in calendario il voto sulla mozione di sfiducia nei confronti dell’attuale primo ministro François Bayrou, che ha legato il suo piano di austerità da 44 miliardi di euro a un voto di fiducia. Ma l’esito sembra già scritto.
L’Assemblea nazionale è spaccata in tre blocchi che si neutralizzano a vicenda, impedendo la formazione di una maggioranza stabile. Da un lato ci sono i centristi e i pro-Macron, circa 210 deputati che sostengono Bayrou: troppo pochi per governare con solidità. Dall’altro lato il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, con 140 seggi e un’opposizione frontale al presidente. Infine, i partiti di sinistra, con 180 parlamentari, divisi tra chi invoca una manovra più sociale e chi punta a far cadere il governo. Con numeri così fragili e una politica di austerità tanto contestata, lunedì con ogni probabilità l’esecutivo francese cadrà sotto il voto di sfiducia. A quel punto Macron sarà costretto a nominare il quinto premier in un anno e mezzo. Il presidente ha già escluso le dimissioni e ribadito di voler restare in carica fino al 2027, ma appare difficile che riesca a cambiare la situazione nel poco tempo che gli resta.
Bayrou ha messo la propria sopravvivenza politica nelle mani di un piano di risparmi da 44 miliardi di euro per il 2026, da lui definito una scelta inevitabile per la “sopravvivenza dello Stato”. I conti pubblici sono infatti critici e rischiano di generare un effetto domino sui mercati internazionali, vista l’importanza della Francia nell’economia europea.
Debito pubblico record in Francia
Il debito pubblico ha raggiunto i 3.345 miliardi di euro alla fine del primo trimestre 2025, pari al 113,9% del PIL: un vero record. Il deficit si attesta al 5,8%, quasi il doppio del 3% consentito dalle regole europee. Negli ultimi trent’anni la Francia ha chiuso i bilanci in attivo una sola volta. Per colmare il disavanzo, il governo ha varato un piano giudicato efficace sul piano economico ma devastante su quello sociale. Tra le misure spiccano l’abolizione di alcuni giorni festivi, il blocco delle pensioni e il tetto massimo alle prestazioni sociali ai livelli del 2025. Provvedimenti che hanno già scatenato il malcontento: il 10 e il 18 settembre sono previste grandi manifestazioni di piazza. E quando i francesi protestano, non è mai un buon segnale.
La crisi crescente rischia di riflettersi anche sui mercati internazionali. Il sistema bancario francese è sotto pressione: in soli cinque giorni i titoli di Société Générale hanno perso il 10%, quelli di BNP Paribas l’8%. Il debito francese rappresenta circa il 3% delle attività complessive del settore bancario e il 71% del capitale di base. Perdite su questi investimenti metterebbero a rischio la stabilità dei principali istituti di credito.
Il pericolo di contagio è concreto: come la crisi greca si diffuse in Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna, un eventuale crollo della Francia potrebbe propagarsi anche ad altri Paesi, incluso il Regno Unito.
Gli scenari restano fragili. Da un punto di vista populista, la via più rapida per Parigi sarebbe l’uscita dall’eurozona e il ritorno al franco. Una scelta che comporterebbe una svalutazione significativa, alleggerendo il peso del debito e rilanciando le esportazioni, ma con conseguenze devastanti sulla stabilità della seconda valuta più importante al mondo.
Anche qualora Bayrou dovesse resistere, la battaglia politica continuerà almeno fino al 2027. E la Francia, con il terzo debito pubblico più alto al mondo dopo Stati Uniti e Giappone ma un’economia molto più piccola, rischia di trasformarsi nel detonatore della prossima crisi finanziaria globale.
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