Il dollaro australiano si sta muovendo in trading range contro dollaro Usa ormai da qualche mese. Non va escluso, però, un nuovo sell-off. Ecco perché
Da circa cinque mesi il dollaro australiano si sta muovendo all’interno di un trading range nei confronti del dollaro americano, dopo aver sperimentato pesanti perdite a partire dalla primavera del 2013. Allora il tasso di cambio AUD/USD quotava intorno a 1,02, mentre a metà gennaio scorso scendeva in area 0,68 sui minimi dal 2009. Da quando il mercato ha iniziato a scontare il mantenimento dei tassi di interesse in Australia al livello del 2% per un periodo prolungato di tempo, il valore della moneta oceanica si è mosso in un range compreso tra 0,74 e 0,68 nel rapporto di cambio con il biglietto verde.
Tuttavia l’Aussie resta soggetto a forti rischi verso il basso, nonostante il governatore della Reserve Bank of Australia, Glenn Stevens, abbia definito la quotazione corrente vicina ai fondamentali macroeconomici del paese. La verità è che l’Aussie rischia ancora di perdere valore, ben al di sotto di 0,68. Esistono almeno 3 ragioni per credere in un nuovo sell-off:
1) Frenata economica della Cina.
Pechino sta cercando in tutti i modi di evitare un hard landing pericoloso per la solidità economica del paese, ma potrebbe non riuscirci se non attuando probabilmente una massiccia svalutazione dello yuan, che a sua volta provocherebbe grande instabilità sui mercati globali. Lo scorso anno il gigante asiatico è cresciuto del 6,9%, ai minimi da 25 anni. La Cina è il principale partner di Sidney, dal quale assorbe gran parte delle materie prime. Se Pechino rallenta ulteriormente, è probabile che gli investitori avranno poco interesse ad accumulare dollari australiani in portafoglio in vista di possibili nuovi tagli al cash rate da parte della RBA.
2) Materie prime ancora deboli.
L’Australia ha un’economia fondata principalmente sull’esportazione di commodity, soprattutto verso la Cina. Il settore minerario ha un enorme peso sull’economia oceanica, in particolare l’export di minerale di ferro e carbon coke. Di recente il prezzo del minerale di ferro è volato sopra 50$ per tonnellata, quando invece a dicembre era sui minimi decennali a 37$. Il balzo del 40% della commodity utilizzata per l’acciaio ha ridato vigore al dollaro australiano, ma questo rally viene considerato dagli analisti solo temporaneo. Infatti la Cina dovrebbe diminuire sempre più la produzione di acciaio, dopo che la stessa è calata per la prima volta dal 1981. Secondo Goldman Sachs, il prezzo del minerale di ferro sarà inferiore ai 40$ fino al 2018.
3) Ripresa del dollaro americano.
Un altro fattore in grado di influire negativamente sulla valuta oceanica potrebbe essere l’eventuale ripresa del rally del biglietto verde, che ha un po’ frenato la sua corsa pluriennale da quando sono diminuite le aspettative di rialzo dei tassi di interesse da parte della FED. Alcuni analisti finanziari stimano che l’istituto guidato da Janet Yellen potrebbe evitare l’aumento del costo del denaro per tutto il 2016, dopo averlo incrementato a metà dicembre scorso per la prima volta dopo dieci anni. Tuttavia l’economia a stelle e strisce resta solida, con la disoccupazione sotto il 5% e l’inflazione in deciso aumento. La FED potrebbe quindi essere “costretta” ad aumentare i tassi almeno un paio di volte nel 2016, fornendo nuova linfa vitale al greenback. Il cambio AUD/USD potrebbe scendere sotto 0,68 e dirigersi verso il supporto di lungo periodo di 0,60.
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