La crisi non è affatto finita, anzi, sembra che la spirale negativa degli eventi dell’Eurozona non abbia mai termine. In tutto questo, cosa fa la Banca Centrale Europea? Sostanzialmente niente, leggiamo su Free Exchange, uno dei blog finanziari più autorevoli del The Economist. Ma il problema è che l’unione monetaria somiglia ogni giorno di più ad un matrimonio destinato al divorzio.
Crisi: 4 fatti insostenibili
Partiamo da quattro semplici considerazioni:
- L’economia dell’area Euro è in recessione dal terzo trimestre del 2011.
- La disoccupazione nella zona Euro ha raggiunto un livello record del 12%, con due punti percentuali in più rispetto al 2011.
- L’inflazione annuale sta scendendo al di sotto del 1.7%. I tassi di inflazione mensili sono ristagnanti nella maggior parte delle regioni dell’Euro.
- Gli ultimi dati indicano he la recessione è continuata per il primo trimestre dell’anno e che potrebbe essersi intensificata nel mese di marzo.
BCE: politica monetaria e accesso al credito
La Banca Centrale Europea ha come mandato l’inflazione e dunque, in maniera superficiale, non dovrebbe preoccuparsi del tasso di disoccupazione o delle terribili performance della produzione economica. In realtà, tali performance e il numero di disoccupati non fatto che spingere sulla caduta dell’inflazione. Dunque si potrebbe pensare che la BCE sia preoccupata per la possibilità che l’inflazione scenda troppo al di sotto del target del 2%.
Altrettanto, la BCE potrebbe supporre di fare già il possibile per questa situazione. La politica dei tassi di interesse, allo 0.75%, è al di sopra della maggior parte delle altre banche. Mario Draghi ha notato, nelle dichiarazioni successive al meeting del consiglio direttivo, che la politica della BCE ha fallito nel tentativo di portare al ribasso i costi di accesso al credito nelle zone periferiche dell’eurozona che rimangono sorprendentemente più alti di quelli in paesi come la Francia o la Germania.
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È difficile immaginare che la recente esperienza di Cipro possa migliorare la situazione mostrata dal grafico. Dopo che i funzionari del settore bancario abbiano supposto l’idea che i depositanti non assicurati possano subire perdite nel caso in cui la banca finisca in rovina (idea definita "non brillante" dallo stesso Draghi) è difficile immaginare che i correntisti nelle zone periferiche dell’Euro non siano incentivati a spostare i propri fondi altrove, riducendo così l’offerta di fondi mutuabili e aumentando i costi dei prestiti finanziari.
Banche centrali a confronto: cosa fa la BCE?
Trovandosi ad affrontare simili interruzioni nella trasmissione della politica monetaria, la Bank of England e la Federal Reserve hanno deciso di sperimentare programmi di acquisto asset. La Fed sta comprando asset per aumentare in generale l’espansione della base monetaria e nello specifico per migliorare l’andamento del credito nel settore immobiliare. La Bank of England acquista asset e sperimenta nuove "formule" per far confluire il credito alle imprese.
La Banca Centrale Europea non sta facendo nulla di tutto ciò. Nonostante i miserabili dati macro, la BCE ha deciso di non tagliare i propri tassi di interesse (sebbene ne abbia suggerita la possibilità futura). Tantomeno ha spiegato un programma di acquisto titoli pensato per rendere più stimolante l’intero andamento della politica monetaria. Mentre informava del fatto che condizioni migliori di accesso al credito nelle zone periferiche dell’euro sarebbero altamente desiderabili, la BCE riconosceva che l’unica cosa che fatta su questo fronte è stata intervenire tra il 2011 e il 2012 mantenendo i costi di acceso al credito fuori da quella spirale che avrebbe portato il sistema bancario all’implosione. La palla ora sta nelle mani dei governi, ha fatto notare Draghi: i leader devono andare avanti verso l’unione bancaria.
Unione Bancaria: quasi un’utopia
Una unione bancaria, certamente, avrebbe aiutato, ma è solo un caso sfortunato che i progressi istituzionali su questo fronte della zona Euro siano fermi dal 2012. Nessuno, infatti, può negare che la BCE, senza il supporto della fisicità e dell’autorità di un governo, è in una posizione molto più difficile delle altre grandi banche centrali.
Detto ciò, non c’è scusa per l’inazione della BCE.
È decisamente nella portata della politica monetaria della BCE farsi carico della pericolosa differenza che c’è tra le condizioni di accesso al credito nelle nazioni ’core’ e in quelle ’periferiche’.
L’acquisto di asset renderebbe certamente qualche membro della BCE piuttosto nervoso, specialmente Jens Weidmann e i suoi colleghi della Bundesbank. Inoltre, una politica certamente più efficace, come ad esempio l’acquisto di titoli ipotecari mirati nelle zone periferiche dell’Euro, potrebbe somigliare troppo ad uno schema di salvataggio o una forma di protezione verso i governi del Sud, troppo difficile da far accettare.
Qualcuno ha visto la BCE?
Ma l’alternativa è una Banca Centrale Europea al di fuori della politica monetaria. Invece, la maggiore preoccupazione della BCE è diventata quella di giocare al "gioco del pollo" (o del coniglio, in riferimento alla Teoria del Gioco, ndt.) con i governi.
Alla periferia dell’Euro, la BCE offre un accordo: adottate le politiche che diciamo noi e in cambio noi non permetteremo ai vostri sistemi finanziari di collassare.
A tutti gli altri, la BCE dice: aspettatevi che la recessione continui fino a quando le riforme istituzionali non saranno rianimate.
Potrebbe sembrare che la banca centrale non abbia altra scelta. Ma per quei governi che stanno valutando il peso dei costi e dei benefici di essere parte della zona Euro, la prospettiva di una relazione permanente con una banca centrale poco interessata nella politica monetaria, diventa sempre meno attraente.
Qualche istituzione, da qualche parte, ha bisogno di dimostrare interesse nel rendere l’unione monetaria migliore, specie per le economie in difficoltà, altrimenti questo diventerà un matrimonio fallito, tenuto insieme soltanto dalla moneta unica e in cui ogni membro spera di avere l’occasione giusta per chiamarsi fuori.
| Traduzione a cura di Federica Agostini | Fonte: Economist/FreeExchange |
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