Coronavirus nelle lacrime dei malati: la scoperta dei ricercatori italiani

Leonardo Pasquali

22/04/2020

17/01/2023 - 17:16

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Il coronavirus è presente nelle lacrime dei malati: ciò dimostra che gli occhi sono anche fonte di contagio. Il risultato di una ricerca realizzata dall’Istituto Spallanzani di Roma fornisce nuovi dettagli sul comportamento del SARS-COV-2.

Coronavirus nelle lacrime dei malati: la scoperta dei ricercatori italiani

Coronavirus anche nelle lacrime dei pazienti positivi. Questa la scoperta shock dei ricercatori italiani dell’Istituto Spallanzani di Roma pubblicata sulla rivista Annals of Internal Medicine.

Uno dei sintomi della COVID-19 è proprio la congiuntivite e lo studio conferma come oltre a replicarsi nell’apparato respiratorio lo faccia anche nelle secrezioni oculari.

Un ulteriore pezzo del puzzle per comprendere al meglio come il nuovo virus agisca e per poter ricalibrare in modo adeguato la gestione dei pazienti che hanno contratto il SARS-COV-2.

Coronavirus nelle lacrime dei pazienti per 27 giorni

La ricerca pubblicata su Annals of Internal Medicine e realizzata dall’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani di Roma potrebbe gettare nuova luce sul comportamento del coronavirus. Secondo quanto scoperto dai ricercatori italiani infatti il SARS-COV-2 sarebbe attivo anche nelle secrezioni oculari dei positivi.

Effettuando un tampone oculare su una paziente affetta da congiuntivite bilaterale a tre giorni dal ricovero e isolando il virus, si è potuto constatare come si replichi oltre che nell’apparato respiratorio anche nelle congiuntive. Non solo, visto che all’interno delle stesse rimane attivo più a lungo. I tamponi in questione inoltre sono risultati positivi anche quando i campioni respiratori erano ormai negativi. Il coronavirus è sopravvissuto nelle secrezioni fino a 27 giorni dal ricovero ma non è stata ancora approfondita la sua capacità infettante.

La scoperta comunicata all’OMS

Una scoperta dal valore inestimabile che avrà risvolti importanti sulla gestione dei pazienti affetti da coronvairus e sul relativo utilizzo di dispositivi di protezione individuale. I risultati della ricerca sono stati comunicati anche all’OMS e verranno probabilmente resi noti a tutti gli operatori della sanità pubblica. Anche grazie a queste nuove informazioni si potranno ricalibrare gli interventi effettuati ogni giorno sui malati, assottigliando ancora di più le possibilità di contagio.

Come riportato a Repubblica dalla dottoressa Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità operativa Virus emergenti del Laboratorio di Virologia dello Spallanzani, “la ricerca dimostra che gli occhi non sono soltanto una delle porte di ingresso del virus nell’organismo, ma anche una potenziale fonte di contagio. Ne deriva la necessità di un uso appropriato di dispositivi di protezione in situazioni, quali gli esami oftalmici, che si pensava potessero essere relativamente sicure rispetto ai rischi di contagio che pone questo virus”.

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