Cassa integrazione causa guerra in Ucraina: aziende di nuovo in crisi

Giorgia Bonamoneta

6 Marzo 2022 - 14:35

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Aziende in crisi e dipendenti in cassa integrazione. La guerra in Ucraina ha conseguenze sul lavoro, tra il blocco dell’approvvigionamento delle materie prime e l’export in Russia.

Cassa integrazione causa guerra in Ucraina: aziende di nuovo in crisi

Rischio cassa integrazione a causa della guerra in Ucraina. Il conflitto ha delle ripercussioni indirette in Occidente, dalle più evidenti a quelle più inattese. Da settimane raccontiamo i rischi legati al protrarsi del conflitto in Ucraina, dall’aumento del costo del carburante, dell’energia (gas in particolare), l’aumento del costo del grano e dei cereali e le conseguenti ricadute sui prezzi nei supermercati.

Oggi arriva l’ennesimo grido di allarme da parte, questa volta, dei sindacati: il rischio di cassa integrazione per i lavoratori. C’è chi ha già annunciato la riduzione del personale e l’inserimento di questo nel regime di cassa integrazione proprio per le ripercussioni del conflitto. Il motivo è l’assenza di materia prima da lavorare, come nel caso delle acciaierie di Ferriere Nord, in Veneto.

I motivi di tali decisioni sono diversi, da una parte il blocco dell’approvvigionamento delle materie prime da lavorare, dall’altro lo stop dell’export verso la Russia, con il quale le aziende italiane commerciano. E dopo il periodo della pandemia il rischio di non avere più la forza di ripartire è più che elevata. Non tutte le aziende hanno infatti scorte consistenti e, anche in questo caso, il rischio di ricaduta sul prezzo al dettaglio - vista l’imprevedibilità del confitto e la sua durata - è altrettanto rilevante.

Aziende in crisi per la guerra in Ucraina e i dipendenti tornano in cassa integrazione

Giungono lettere ai sindacati per lamentare il ritorno al regime di cassa integrazione per un numero consistente di lavoratori. Nel corso degli ultimi due anni il mercato del lavoro e le attività delle aziende hanno subito diversi scossoni. La guerra in Ucraina è stato quell’evento “imprevedibile” che ha colto le aziende di sorpresa in una fase di relativa calma e di ripresa delle attività. Tradotto: non ci voleva proprio.

Nelle lettere si legge chiaramente la motivazione:

Causa ripercussioni del conflitto in Ucraina dobbiamo ridurre la produzione. Il personale sarà messo in cassa integrazione.

Al momento si parla di un blocco per i lavoratori di 5-6 giorni, ma è evidente, prima di tutto sul piano internazionale, che il conflitto avrà vita più lunga. Soprattutto saranno le conseguenze del conflitto a perdurare nel tempo, come il blocco dei rifornimenti e l’export in Russia, qualsiasi sarà il finale del conflitto.

Quali sono le aziende che hanno mandato i dipendenti in cassa integrazione

Da Nord a Sud la crisi di approvvigionamento ed export colpisce diverse aziende, in particolare per i settori più colpiti dal conflitto in corso in Ucraina e le sanzioni alla Russia. Grano, mais, olio di semi, componenti meccaniche, acciaio e argilla sono solo la punta dell’iceberg.

Tra le aziende che hanno già applicato la cassa integrazione troviamo, per esempio, la Whirlpool di Melano (Ancora). La decisione è stata presa dopo la chiusura dei negozi Ikea in Russia e la conseguente sospensione delle forniture, compresi i piani cottura che Whirlpool produce. In cassa integrazione sono finiti quasi tutti i dipendenti, per un totale di 550 persone. Al momento la produzione resterà ferma in alcuni giorni specifici: 21, 25, 28, 31 marzo e il primo aprile. Il futuro è incerto. Discorso simile per il gruppo Stellantis.

Rischio fallimento per piccole e medie imprese: cosa raccontano gli imprenditori

Non tutte le aziende riusciranno a rientrare dalla crisi. Paolo Galassi, presidente di Api (associazione delle piccole e media industrie) spiega che gli imprenditori hanno già tenuto duro negli ultimi due anni, ma lo sforzo richiesto ora è impossibile per molti.

Il 30% delle aziende associate esporta in Russia e il 15% in Ucraina. Il blocco ovviamente si incontra con il sovrapprezzo dell’energia e del carburante. Servono, dicono gli imprenditori, ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione in deroga, altrimenti “non ci resterà che chiudere dire addio alle nostre aziende”.

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