Campi di concentramento in Cina: cosa sono e perché sta succedendo

Fiammetta Rubini

24/09/2020

24/09/2020 - 10:02

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Confermata l’esistenza di quasi 400 campi di detenzione in Cina dove i musulmani vengono torturati, costretti al lavoro forzato, a convertirsi e a bere alcolici. Si fa luce sulla «più grande incarcerazione di massa dalla seconda guerra mondiale».

Campi di concentramento in Cina: cosa sono e perché sta succedendo

Cosa sta succedendo davvero in Cina e perché i musulmani vengono arrestati e chiusi in campi di detenzione e lavoro forzato? Cosa avviene in questi campi?

Quasi un anno fa un video pubblicato su TikTok da una teenager americana è diventato virale portando alla luce un argomento tanto inquietante quanto spinoso. La ragazza ha finto di fare un tutorial di makeup per denunciare la situazione di repressione in Cina ai danni della minoranza uiguri nella provincia dello Xinjiang, nell’estremo nord-ovest del Paese. Un argomento che le sta particolarmente a cuore, ma che le costerebbe la censura del social cinese.

La situazione in verità è già ben nota da tempo alle Nazioni Unite, che però, dice la ragazza, avrebbero fallito nel bloccare il genocidio. “Non possiamo permettere che accada ancora, non possiamo restare in silenzio mentre davanti ai nostri occhi avviene un altro olocausto. Da quel momento l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica mondiale si è concentrata sempre di più su questi campi di concentramento cinesi, diventati un vero e proprio caso internazionale.

Campi concentramento in Cina: chi sono gli uiguri

Gli uiguri sono un’etnia di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, in particolare nella regione dello Xinjiang insieme ai cinesi Han, ma rappresentano la maggioranza della popolazione in quella regione.

Dal 2001, con la lotta globale al terrorismo islamico, si è intensificata la repressione del governo nei confronti dei movimenti indipendentisti e separatisti come appunto quello degli uiguri, la cui attività indipendentista risale alla prima metà del novecento.

Nel 2009 una manifestazione uiguri nello Stato dello Xinjiang è degenerata in una serie di scontri etnici con gli Han e con la polizia cinese, in cui sono morte centinaia di persone. Col tempo la minoranza musulmana ha iniziato a subire sempre maggiore repressione da parte delle autorità cinesi.

Cosa sono i campi di concentramento in Cina

Nel 2018 le polemiche sulla detenzione degli uiguri nei campi di concentramento in Cina e sulla natura di questi campi si sono intensificate. Il mondo intero ha iniziato a venire a conoscenza di una realtà fino ad allora tenuta nell’ombra grazie a un’inchiesta del quotidiano online Bitter Winter, dove venivano mostrati video filmati all’interno di questi campi simili a prigioni.

Pechino insiste che non vi sono violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Inizialmente il governo ha negato l’esistenza dei campi di internamento, poi li ha descritti come programmi di formazione professionale e rieducazione “volontaria” che mirano ad alleviare la povertà e contrastare la radicalizzazione e il terrorismo.

I documenti trafugati e diffusi dalla stampa internazionale confermano, però, la più grande incarcerazione di massa di una minoranza etnico-religiosa dalla seconda guerra mondiale. Documenti commentati dal governo cinese, ovviamente, come di “fabbricazione di notizie false”

Gli studiosi occidentali sostengono che il presidente cinese Xi Jinping sia in verità allarmato da una inaspettata rinascita religiosa nella regione. Secondo le stime le autorità cinesi hanno internato nei lager circa un milione di uiguri.

Ne esistono quasi 400

Secondo le immagini satellitari ottenute dall’Australian Strategic Policy Institute, nello Xinjiang ci sono 380 centri di internamento (100 in più rispetto a quanto si riteneva in precedenza), che vanno dai campi di rieducazione a minore sicurezza alle prigioni fortificate.

Le autorità cinesi avevano affermato che il loro sistema di rieducazione era in fase di esaurimento, invece le prove dell’ASPI mostrano che la costruzione di nuove strutture è continuata per tutto il 2019 e 2020.

Dalle immagini catturate si è scoperto che spesso i campi si trovano all’interno o nei pressi di complessi di fabbriche, il che suggerisce il filo diretto tra la detenzione arbitraria e il lavoro forzato.

Cosa succede nei campi di concentramento in Cina

Questi lager sono destinati ai “musulmani ribelli” o “pericolosi” arrestati anche per motivi futili e qui rinchiusi senza essere sottoposti a regolare processo. La violazione dei diritti inizia ben prima della reclusione, quindi.

Navigare un sito web straniero, ricevere telefonate e messaggi da parenti all’estero, avere il Corano, non mangiare carne di maiale, pregare regolarmente o farsi crescere la barba potrebbe far atterrare una persona in un campo di indottrinamento politico cinese o in prigione.

Stando a quanto riferito, i campi devono aderire a un rigoroso sistema di controllo fisico e mentale totale, con sorveglianza 24 ore su 24 posta ovunque negli edifici e intorno ai recinti. Qui dentro le persone sono costrette a rinnegare le loro convinzioni e ad elogiare il Partito Comunista, a bere alcolici e mangiare carne di maiale (pratiche vietate dalla religione islamica).

I detenuti guadagnano “crediti” per il processo di trasformazione ideologica e il rispetto della disciplina, ma anche se la “trasformazione culturale” è compiuta non sono autorizzati ad andarsene, ma vengono trasferiti in un altro livello dei campi dove “devono formarsi in ambito lavorativo”.

Possono sentire i parenti una volta al mese in videochiamata o con una telefonata a settimana: unico contatto col mondo esterno. Ci sono stati molti resoconti di persone che hanno subito torture, stupri e abusi di ogni tipo. Sembra inoltre che anche dopo essere stati rilasciati, gli ex detenuti rimangono sotto sorveglianza.

Lavoro forzato uiguri: coinvolte Apple, Nike e altre marche

Il report “Uiguri in vendita” pubblicato dall’Australian Strategic Policy Institute ha identificato almeno 27 fabbriche in Cina dove sono stati trasferiti i detenuti dei campi di lavoro forzato dello Xinjiang. Queste fabbriche riforniscono almeno 83 marchi internazionali come Volkswagen, Apple, Samsung, Nike e BMW.

Il think thank australiano, citando documenti governativi e resoconti dei media locali, afferma che i trasferimenti in massa dei detenuti verso le fabbriche possono essere visti come un’estensione dei campi di rieducazione dello Xinjiang, nonché una risposta al rallentamento dell’economia in Cina.

Secondo il report i lavoratori in queste fabbriche conducono una vita dura e segregata e sono sottoposti a costante sorveglianza, non possono praticare la loro religione e sono costretti a prendere lezioni di mandarino e formazione ideologica.

Il ministero degli Esteri cinese ha respinto le accuse e commentato il report come inattendibile e senza prove.

Apple ha risposto alle accuse di coinvolgimento dichiarando l’“impegno della società a garantire che tutti i lavoratori impegnati nella catena di approvvigionamento siano trattati con la dignità e il rispetto che meritano”.

“Lavoriamo a stretto contatto con tutti i nostri fornitori per garantire il rispetto dei nostri standard elevati”, aggiunge la nota.

Volkswagen ha comunicato alle agenzie di stampa che nessuna delle società citate è attualmente un fornitore diretto dell’azienda. In una dichiarazione la casa automobilistica tedesca ha detto di detenere l’autorità diretta in tutte le aree in cui è attiva e rispetta le minoranze e le norme sociali e del lavoro.

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