I nostri club possono solo sognare i grandi campioni: non è una questione di appeal ma delle tasse che vengono applicate sugli ingaggi dei calciatori.
Quando Massimo Moratti era presidente dell’Inter, dopo aver portato a Milano un campione come Ronaldo ha provato più volte a far vestire la maglia nerazzurra anche a Messi. Cristiano Ronaldo invece, dopo la rottura con il Real, è stato accostato anche alla Juventus.
Trattative del passato e del presente accomunate però da un probabile destino comune del restare soltanto delle chimere, con il nostro calcio ormai da anni incapace di attirare i grandi campioni.
I motivi? Basso fatturato e alta tassazione, con i top player che al momento non sono raggiungibili per via delle casse al verde dei club italiani.
QUI LA LISTA DEI CALCIATORI CON IL MAGGIORE VALORE DI MERCATO
La tassazione delle squadre di calcio
In totale il calcio italiano versa nelle casse statali circa 1 miliardo l’anno. Oltre alle varie imposte pagate dai club e dai calciatori, si deve aggiungere infatti anche la quota che lo Stato incassa dalle scommesse effettuate sui vari campionati nostrani.
- Irpef - 542 milioni
- Iva - 233 milioni
- Ires - 6 milioni
- Irap - 42 milioni
- Inps - 120 milioni
- Scommesse - 128,6 milioni
In generale la tassazione in Italia sullo stipendio di un calciatore è del 43%. In pratica se un atleta ha un ingaggio lordo di 2 milioni, 860.000 euro se ne vanno in tasse e i restanti 1,14 milioni invece finiscono nelle tasche del giocatore.
Vediamo allora come sono le tassazioni nei principali campionati europei.
- Inghilterra - 50%
- Spagna - 45% per gli stipendi oltre i 600.000 euro, sotto la tassazione è del 24%
- Italia - 43%
- Germania - 42%
- Portogallo - 42%
- Francia - 41%
- Turchia - 35%
- Russia - 13%
In Spagna ai tempi della cosiddetta “legge Beckham” i club pagavano il 24% per tutti i calciatori, tanto che l’ex amministratore delegato del Milan Adriano Galliani più volte aveva tuonato contro la differenza erariale rispetto alla Serie A.
Dopo una riforma fiscale, adesso la tassazione del 24% è rimasta soltanto per gli ingaggi lordi fino a 600.000 euro, mentre per i calciatori che sforano questo tetto il prelievo fiscale è del 45%.
Contando che in una rosa molti ingaggi sono inferiori alla soglia dei 600.000 euro, i club spagnoli in generale pagano meno rispetto a quelli nostrani, con le squadre italiane che sono dietro soltanto all’Inghilterra in questa speciale classifica.
La differenza di fatturato
Oltre a essere soggetti a una importante tassazione, i maggiori club italiani devono fare i conti anche con un fatturato minore rispetto ai loro corrispettivi degli altri principali campionati europei.
Naturalmente in questo caso le responsabilità non ricadono, almeno direttamente, sullo Stato, ma è una problematica dettata dalla miopia e dal poco coraggio della governance del pallone nostrano.
Il risultato è che le società della nostra Serie A ormai dipendono totalmente dagli incassi derivanti dai diritti televisivi che, nella recente assegnazione per quanto riguarda il triennio 2018-2021, frutteranno 973 milioni l’anno ovvero meno di quanto ci si aspettava.
Gli americani di Deloitte hanno appena pubblicato l’edizione 2018 della loro Football Money League, dove hanno stilato una classifica riguardante i fatturati dei club europei per quanto riguarda la scorsa stagione 2016/2017.
Come si può vedere, la prima società italiana è la Juventus al 10° posto, con l’Inter al 15° e il Napoli al 19°. Dalla top 20 poi sono usciti rispetto alla stagione 2015/2016 sia il Milan che la Roma.
Al momento quindi soltanto la Juventus può in qualche modo competere con i maggiori club europei, grazie ai buoni risultati ottenuti in Champions e all’aumento dei ricavi derivanti dallo Stadium, mentre per tutti gli altri il divario è ancora ampio.
Anche se City, United, Real e Barcellona pagano più tasse rispetto alle squadre italiane, possono permettersi però di siglare accordi molto pesanti in virtù del maggiore fatturato su cui possono contare, rispettando così anche i vincoli del Fair Play Finanziario.
Portare in Italia campioni come Messi, Cristiano Ronaldo e Neymar, al momento è quindi pura utopia: soltanto aumentando di molto i fatturati, si potrebbero sostenere i costi dei contratti faraonici dei top player.
Se una volta il campionato italiano poteva annoverare la presenza dei più forti calciatori al mondo, basti pensare a provinciali come l’Udinese che poteva permettersi di avere in squadra un certo Zico, quei tempi appaiono ormai soltanto un lontano ricordo.
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