I bonus bebè targati Fornero, pensati appositamente per le mamme lavoratrici, registrano numeri che fanno parlare, senza mezzi termini, di un flop. Ma come funzionano, e perché non hanno avuto successo?
I bonus bebè voluti dall’ex ministro del Welfare Elsa Fornero non hanno avuto successo: solo 3783 domande accettate, su circa 11 mila posti disponibili. Sembra finito così, con un epilogo dal sapore amaro, l’esperimento di un aiuto appositamente pensato per le mamme che più in questi anni si trovano ad affrontare enormi difficoltà: quelle lavoratrici.
La tendenza demografica in Italia
Storia strana, quella del nostro Paese. I continui richiami, da parte della politica, alla famiglia come pietra angolare della nostra società, talvolta anche con espliciti riferimenti alla sacralità dell’unione basata sul matrimonio tra uomo e donna, non hanno quasi mai trovato concrete applicazioni nella realtà: l’Italia è, infatti, agli ultimi posti in Europa per il sostegno alla famiglia e all’infanzia. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: nel 2012 i nascituri nel nostro Paese sono calati di oltre 12 mila unità rispetto al 2011. Dati sui quali incide senz’altro il perdurare di una crisi economica che in molti sostengono non avere precedenti, ma anche l’assenza delle politiche di welfare ha sicuramente avuto il suo peso.
Le condizioni delle mamme lavoratrici in Italia
Inevitabilmente, le inefficienze dello Stato in materia di supporto alle famiglie hanno finito con l’incidere negativamente sulle condizioni delle madri lavoratrici nel nostro Paese. E se il tema della difficile conciliazione vita-lavoro è da sempre considerato prioritario in Europa, in Italia tutto il lavoro di cura di bambini e anziani è praticamente esclusivo appannaggio delle donne, finendo col comprometterne la carriera professionale.
I bonus bebè Fornero
Proprio in un panorama così delineato, il tentativo dell’ex ministro Elsa Fornero, destinata a passare alla storia più per la vicenda degli esodati che non per le sue illuminate politiche sociali, era specificamente rivolto alle donne che sono madri e lavoratrici, prevedendo un bonus nell’arco di un triennio (quindi fino a fine 2015) che ammontava a 300 euro mensili, destinabili, però, esclusivamente alle spese di asilo nido o servizi di baby sitting. Una cifra ritenuta dai più troppo esigua, soprattutto se consideriamo i prezzi medi di babysitter, tate o asili nido privati, una scelta talvolta obbligata dalla cronica carenza di posti in quelli comunali. Quindi, se da una parte era apprezzabile il tentativo di disincentivare l’abbandono del lavoro da parte delle neo mamme, gli eccessivi vincoli per l’accesso al bonus (compreso l’obbligo di scegliere fra questo o il congedo parentale) e la scarsità delle risorse stanziate (appena 20 milioni di euro per un triennio, bastevoli quindi per circa 11 mila domande) hanno probabilmente destinato il bonus a un desolante fallimento. E i numeri lo confermano: appena 3783 domande accettate.
La cronica carenza degli asili in Italia
Un flop che riaccende i riflettori sulla questione irrisolta dei servizi di caregiving per la prima infanzia in Italia: secondo un’inchiesta del Corriere della Sera, infatti, lo scorso anno solo 11,8% dei bambini tra 0 e 2 anni hanno frequentato un asilo nido comunale o strutture private convenzionate con il settore pubblico.
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