Assunta al nono mese di gravidanza: essere incinta non è un impedimento per il lavoro

Giulia Mirimich

9 Febbraio 2017 - 17:22

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Una donna incinta viene assunta al nono mese di gravidanza: la storia di Martina Camuffo dimostra che lavorare ed essere mamma è possibile.

Assunta al nono mese di gravidanza: essere incinta non è un impedimento per il lavoro

Assunta al nono mese di gravidanza? La notizia ha fatto il giro del web e dei principali media: a Mestre una donna di 36 anni è stata assunta al nono mese di gravidanza.

È la vicenda di Martina Camuffo, veneta e incinta della sua seconda bambina, che a dieci giorni dalla nascita della sua seconda figlia firma un contratto con un’agenzia di web design. 

Essere incinta e lavorare: binomio possibile.

La donna si era candidata per il posto durante il settimo mese di gravidanza, ma senza troppe aspettative, convinta lei stessa per prima che l’azienda avrebbe dato la priorità a candidate disponibili ad iniziare subito. Invece tra cinque mesi sarà lei ad occupare il posto per il quale si era proposta.

Uno dei titolari dell’agenzia ha spiegato che Martina era la migliore candidata e il fatto che fosse incinta non costituiva alcun impedimento.

Oltretutto ha confessato che sua moglie fu licenziata proprio perché incinta, dunque non avrebbe mai fatto ricadere la scelta su un’altra candidata soltanto perché la migliore stava portando avanti una gravidanza.

La vicenda di Martina Camuffo è stata riportata dalle principali testate e il trionfo con il quale è stata accolta dall’opinione pubblica è sintomatico della straordinarietà dell’evento.

Gravidanza: ecco perché il datore di lavoro non può licenziare la dipendente incinta

La legge infatti tutela le donne in gravidanza, impedendo ad un datore di lavoro di licenziare una dipendente durante il periodo di gestazione. Anzi, più esattamente il decreto legislativo 151 del 2001 e l’articolo 54 della Costituzione estendono questo divieto sino al compimento del primo anno di vita del bambino.

Più esattamente, il comma 5 dell’articolo 54 stabilisce che il licenziamento intimato nel periodo in cui il divieto suddetto vige è da considerarsi nullo. Ciò significa che l’interessata non solo dovrà essere reintegrata nel posto di lavoro, ma dovrà vedersi erogare le retribuzioni maturate per intero, come se il rapporto di lavoro non si fosse mai interrotto.



Il datore di lavoro dovrà poi risarcire la lavoratrice, nella misura di retribuzione del danno maturato nel periodo compreso tra il giorno del licenziamento e quello di reintegrazione effettiva.

Secondo il comma 9 inoltre il divieto di licenziamento si estende anche in caso di adozione o di affidamento. Ovviamente ci sono delle eccezioni in condizioni delle quali il licenziamento è lecito.

Ad esempio in caso di grave colpa della lavoratrice, dunque in caso di comportamento non adeguato o negligenze evidenti o in caso di scadenza del contratto di lavoro.

Ecco perché spesso le aziende si servono di pretesti per lasciare a casa le neo mamme. Un sistema abbastanza diffuso è quello di far firmare all’impiegata, al momento dell’assunzione, una lettera di dimissioni in bianco.

Una sorta di prevenzione: la donna lavoratrice viene spesso vista con diffidenza proprio perché è una potenziale futura madre. Storie come quelle di Martina Camuffo finiscono con l’apparire straordinarie anche per questo, come se la normalità, per la donna, fosse quella di sentirsi costantemente divisa tra il diritto di lavorare e il diritto di maternità.

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