Aprire un’attività: quali sono le tasse da pagare? Intervista alla Consulente del Lavoro Rosanna Grizzi

Simone Micocci

12/10/2015

01/11/2018 - 16:04

condividi

Come aprire un’attività e, soprattutto, conviene? Partita IVA, regime dei minimi e finanziamenti agevolati: ne abbiamo discusso con la Consulente del Lavoro Rosanna Grizzi.

Aprire un’attività: quali sono le tasse da pagare? Intervista alla Consulente del Lavoro Rosanna Grizzi

In Italia il tasso di disoccupazione giovanile è molto alto. Per questo molti ragazzi, scoraggiati dalla mancanza di lavoro dipendente, diventano imprenditori di sé stessi e decidono di aprire un’attività. Purtroppo molte volte questa scelta si rivela affrettata, in quanto il giovane imprenditore non è consapevole dell’enorme quantità di tasse da pagare per aprire e mantenere un’attività.

Per fare chiarezza su questi aspetti, Forexinfo ha intervistato Rosanna Grizzi, Consulente del Lavoro e Dott.ssa in Economia.

1) Salve Dott.ssa Grizzi, la ringraziamo per il tempo che ha scelto di dedicarci. Partiamo con la prima domanda: come rilevato dall’Istat in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 40,7% e sono circa 631mila gli Under 25 disoccupati. A causa della mancanza di lavoro, i giovani potrebbero essere incentivati a mettersi in proprio, aprendo una loro attività. Quali sono i passaggi da seguire per aprire un negozio?

Per avviare un’attività commerciale è necessario scegliere un locale che deve essere adatto il più possibile al tipo di attività che si intende svolgere. Successivamente, è importante controllarne la localizzazione e verificarne i dovuti requisiti affinché venga concessa l’Autorizzazione Sanitaria. Bisogna verificare che il negozio sia censito al catasto con la categoria C/1, che abbia gli impianti a norma di legge e che abbia tutte le caratteristiche richieste per ricevere il nulla osta e le autorizzazioni necessarie. Un’altro passaggio essenziale è l’apertura della Partita IVA, ma la cosa più importante è la scelta del regime contabile da adottare affinché si possano avere i maggiori benefici fiscali e di conseguenza maggiori risparmi economici.

2) Soffermiamoci su quest’ultimo punto: secondo lei, qual è il regime contabile più conveniente da adottare?

In questo momento vige ancora il regime dei minimi, una formula semplice adatta sia per i giovani, sia per i meno giovani. Il regime dei minimi è molto importante in quanto permette a chi intraprende per la prima volta un’attività commerciale, artigiana o professionale, di avere molte agevolazioni. Innanzitutto ha una tassazione secca e omnicomprensiva, chiamata imposta sostitutiva, che si attesta al 5% calcolato sull’utile netto. Inoltre, non ha l’applicazione dell’IRAP (imposta regionale attività produttive) ed è esente da IVA (imposta sul valore aggiunto). Una delle caratteristiche più importanti del regime dei minimi è che tiene fuori gli Studi di Settore, un sistema farraginoso che decide, secondo determinati fattori, quale deve essere il volume di affari di un’attività e di conseguenza il suo reddito. Tuttavia, per stare nel regime dei minimi, bisogna rispettare alcune regole e in particolare nell’arco dell’anno non si devono superare i 30 mila euro di fatturato.

3) Oltre ai costi di gestione della Partita IVA, quali sono le altre tasse da pagare?

Nel caso del regime dei minimi le tasse sono appunto “minime” e anche la tenuta della contabilità richiede un costo inferiore rispetto a un altro regime contabile. Ciò che pesa è che si è obbligati a versare per la propria pensione futura dei contributi che non sono pochi e che spesso non tengono conto neanche dei propri guadagni. Per esempio, un artigiano o un commerciante sono obbligati a versare, su un minimale di circa 15 mila euro, importi che si aggirano intorno a 886€ circa per ogni trimestre. Il costo annuale è di 3.550€, indipendentemente da quanto effettivamente guadagnato. Un altro esempio: se un’attività fattura 20 mila euro ed ha un utile netto di 10 mila, paga sempre 3.550€. Quindi, anche nel caso in cui un’attività abbia guadagnato solamente 1.000€, paga sempre 3.550€ di contributi. Nel caso in cui si superassero i famosi 15 mila euro, un’attività pagherà un ulteriore 21% sull’eccedenza. Invece, per professionisti senza cassa (cioè senza ordine di appartenenza) vige la famigerata Gestione Separata INPS, attualmente rimasta per i soli minimi, che prevede il pagamento del 27,72% sul reddito netto.

4) Vista la quantità elevata di spese da sostenere per l’apertura e per il mantenimento di un’attività, un giovane imprenditore potrebbe avere bisogno di un prestito. Ci sono dei finanziamenti agevolati per i giovani?

Riguardo alle agevolazioni per i giovani, ci sono dei finanziamenti agevolati a zero interessi o a fondo perduto. Per usufruire di queste opportunità è necessario presentare un progetto di spesa, mentre per le richieste ci si può avvalere delle varie agenzie o associazioni, come Invitalia, atte a dare tutto il supporto necessario.

5) Oltre al regime dei minimi esistono anche altri regimi contabili da poter adottare, come ad esempio il regime semplificato. Quali sono le differenze tra i due?

Vi spiego nel dettaglio la differenza tra le tasse da pagare nel regime dei minimi e in un regime semplificato, a parità di utile. Consideriamo di adottare un regime dei minimi: se un’attività ha un volume d’affari pari a 30 mila euro e ne toglie 15 mila di spese, gli rimane un utile lordo pari a 15 mila euro. Tassando l’utile lordo al 5% avremo un’imposta di 750€. A questa cifra gli artigiani e i commercianti dovranno aggiungere 3.550€ di previdenza, mentre i professionisti 4.158€ (27,72% di 15.000€). Quindi nel regime dei minimi resta un utile netto di 10.700€ al commerciante o artigiano e un utile di 10.092€ al professionista. Se invece del regime dei minimi adottassimo il regime semplificato, a parità di utile lordo di 15 mila euro, le tasse sarebbero così: 2.750€ di IRPEF, 217€ di IRAP, 335€ di addizionale regionale (se siamo nel Lazio in quanto regione considerata non virtuosa ma molto “spendacciona” e quindi con aliquota più elevata) e 120€ di addizionale comunale (variabili a seconda del comune di appartenenza). Il totale delle tasse da pagare ammonta a 3.422€ (che differenza con i minimi, vero?) a cui vanno aggiunte sempre 3.550€, se artigiano e commerciante, e 4.158€ nel caso dei professionisti. Di conseguenza, nel primo caso avremo un avanzo netto di 8.028€, mentre nel secondo sarà di 7.420€. Inoltre, bisogna considerare che per questo tipo di regime un’attività è soggetta ai potenziali accertamenti degli Studi di Settore e il mio consiglio è di evitarli.

6) Finora i suoi esempi hanno riguardato le attività che guadagnano circa 15 mila euro. Se aumentano gli utili, di quanto aumentano le tasse da pagare?

Consideriamo ad esempio che un’attività guadagni 20 mila euro anziché 15 mila.
Le tasse da pagare in questo caso saranno di: 4.100€ di IRPEF, 458€ di IRAP, 447€ di tassa regionale e 160€ di tassa comunale. A queste vanno aggiunte 4600€ di INPS se artigiano e commerciante o 5.544€ se professionista senza cassa. In pratica, su 5 mila euro in più di guadagno lordo, un artigiano e un professionista avranno 2.793€ in più da pagare, mentre un professionista senza cassa 3.129€. Tirando le somme se da 20 mila euro di utile lordo si sottraggono le tasse e l’INPS, restano 10.235€ (artigiani) e 9.765€ (professionisti). Quindi, se una piccola attività con un lordo di 20 mila euro è costretta a pagare il 50% di tasse, figuriamoci se ha la fortuna di alzare il fatturato; in quel caso la tassazione potrebbe arrivare addirittura oltre al 70%.

7) Un’ultima domanda: facendo un bilancio dei costi di gestione della partita IVA e delle altre tassazioni previste, conviene aprire un negozio o un’attività nel 2015?

Secondo me, oggi non conviene aprire un’attività dove non è possibile adottare il regime dei minimi. Infatti, sostenere le tasse e i costi generali con gli altri regimi contabili è veramente impossibile, poiché si arriva facilmente a una tassazione del 70%. Immaginiamo anche che un artigiano, un commerciante o professionista abbiano bisogno di assumere del personale dipendente perché hanno un po’ di lavoro in più; in quel caso s’indebiteranno sicuramente, poiché le spese del personale supereranno notevolmente l’introito del lavoro in più.

Iscriviti a Money.it

SONDAGGIO