Mercato petrolifero e miti difficili da sfatare: come sta cambiando il settore? 4 affermazioni sul greggio ancorate negli anni, ma non così veritiere.
Mentre nel mondo tutto cambia, soprattutto le dinamiche economiche, il mercato petrolifero sembra ancorato in modo indissolubile su alcuni miti difficili da sfatare.
Se, infatti, è vero che la transizione energetica è diventata una priorità, gli USA si sono evoluti come Paese esportatore di greggio, l’OPEC continua a giocare un ruolo da protagonista nella definizione dei prezzi e le dinamiche del costo della benzina restano influenzate dalle politiche del presidente statunitense, altrettanto realistici sono dati e fatti nuovi.
In una analisi lucida e approfondita pubblicata su Oilprice sono passati al setaccio ben 4 miti sul settore petrolifero che hanno dominato la scena per decenni. Secondo l’esperta Tsvetana Paraskova i miti persistono perché sono semplici. Ma i mercati energetici non lo sono. Sono caotici, globali e guidati da forze ben oltre la portata delle affermazioni ad effetto. Che siate rialzisti, ribassisti o che stiate semplicemente cercando di sopravvivere al prossimo rifornimento di benzina, vale la pena sapere cosa è vero e cosa è solo finzione fossilizzata.
1. Gli USA e l’indipendenza energetica
L’indipendenza energetica è stata uno slogan chiave nelle campagne e nei mandati presidenziali del presidente Donald Trump.
Ma cosa rivelano i fatti? Sebbene gli Stati Uniti siano diventati esportatori netti di petrolio nel 2020 per la prima volta dall’inizio delle rilevazioni nel 1949, importano ancora oltre 8 milioni di barili al giorno (bpd) di petrolio greggio, prodotti raffinati, biocarburanti e idrocarburi gassosi liquidi.
Nel 2023, circa 6,48 milioni di barili al giorno di queste importazioni erano di petrolio greggio, pari a circa il 76% delle importazioni lorde totali di petrolio, secondo l’Energy Information Administration (EIA) statunitense. Ciò significa che gli Stati Uniti esportano più petrolio greggio di quanto ne importino, ma rimangono importatori netti di petrolio greggio in particolare.
I primi cinque Paesi di origine delle importazioni lorde di petrolio degli Stati Uniti nel 2023 sono stati Canada, Messico, Arabia Saudita, Iraq e Brasile. Il Canada da solo ha rappresentato oltre la metà – il 52% – di tutte le importazioni di petrolio negli Stati Uniti. Il Messico si è classificato al secondo posto con una quota dell’11% e l’Arabia Saudita al terzo posto con il 5% di tutte le importazioni lorde di petrolio degli Stati Uniti.
L’idea sbagliata e più diffusa probabilmente nasce dal fatto che gli Stati Uniti esportano anche petrolio greggio e altri prodotti petroliferi, quantità che negli ultimi quattro anni hanno superato le importazioni. Da evidenziare che l’import di petrolio degli Stati Uniti ha raggiunto il picco nel 2005 e da allora è in calo, poiché l’aumento della produzione nazionale e delle esportazioni hanno contribuito a ridurre le importazioni nette totali annuali di petrolio.
Tuttavia, nonostante la produzione record di greggio statunitense, le raffinerie statunitensi necessitano di greggio più pesante rispetto a quello leggero proveniente dai bacini di scisto per trasformarlo in carburante. Questo è un altro motivo per cui il greggio canadese è la principale fonte estera di greggio, oltre alla vicinanza e agli oleodotti che lo trasportano a sud verso i centri di domanda e raffinazione del Midwest e della costa del Golfo degli Stati Uniti.
In sostanza, il mito degli USA grande esportatore energetico vacilla.
2. Petrolio sostituito dalle fonti green
“Il petrolio è morto”, recitano tutti i titoli dal 2015. Ma è davvero così?
L’Agenzia Internazionale per l’Energia continua a sostenere che il picco della domanda globale di petrolio è ancora all’orizzonte, entro la fine del decennio.
La crescita annuale globale rallenterà da circa 700.000 barili al giorno (bpd) nel 2025 e nel 2026 a “un rivolo nel corso dei prossimi anni, con un piccolo calo previsto nel 2030, sulla base delle attuali impostazioni politiche e delle tendenze di mercato”, ha affermato l’AIE nel suo rapporto annuale Oil 2025 per il medio termine.
La maggior parte degli analisti del settore e delle grandi compagnie petrolifere prevedono che la domanda raggiungerà un plateau intorno al 2030, ma nessuno prevede un crollo dei consumi.
I veicoli elettrici potrebbero incidere sulla domanda di carburante per il trasporto su strada in Cina e in Europa, ma aerei e navi continueranno ad aver bisogno di carburanti derivati dal petrolio nel prossimo futuro.
L’energia solare ed eolica potrebbero sostituire gran parte dei combustibili fossili nella produzione di energia, ma non possono produrre prodotti petrolchimici, i Lego, i jeans, le giacche o gli shampoo.
Nonostante le infinite previsioni, il petrolio continua ad adattarsi proprio a quelle tendenze che avrebbero dovuto ucciderlo.
3. Solo l’OPEC controlla i prezzi del petrolio
Un altro mito che circola fin dall’embargo arabo sul petrolio degli anni ’70 è che l’OPEC sia l’unica responsabile dei prezzi internazionali del petrolio.
Non che il cartello non abbia provato, e non ci sia riuscito, nel corso degli anni ad aumentare o diminuire i prezzi del petrolio, ma quest’ultimi non sono soltanto influenzati dall’offerta, gran parte della quale è controllata dall’organizzazione.
Il prezzo è determinato anche dalla domanda. In caso di rallentamento economico, recessione, debolezza delle economie dei principali mercati emergenti consumatori di petrolio o pandemie globali, la domanda crolla. L’OPEC reagisce spesso a questi eventi riducendo l’offerta, ma non può influenzare direttamente la domanda.
Il rallentamento della domanda – anche se si tratta solo di timori futuri sulla debolezza dei consumi – deprime i prezzi del petrolio. L’esempio più recente è la crisi del mercato di inizio aprile, quando l’annuncio dei dazi del presidente Trump ha suscitato la paura di recessioni imminenti.
I prezzi del petrolio sono spesso influenzati anche da eventi geopolitici, tra cui guerre e conflitti, che sfuggono al controllo dell’OPEC. Ad esempio, l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha portato a un’impennata dei prezzi del petrolio oltre i 100 dollari al barile e a picchi nei prezzi dell’energia e nel costo della vita in molti paesi.
Anche la guerra di 12 giorni tra Israele e Iran a giugno ha fatto salire i prezzi del petrolio, nel timore che la più importante rotta di trasporto del greggio al mondo – lo Stretto di Hormuz – possa essere bloccata o che le infrastrutture energetiche in Medio Oriente possano essere colpite.
4. IL presidente degli Stati Uniti può controllare i prezzi della benzina
Quando Trump ha annunciato il cessate il fuoco tra Israele e Iran in automatico si sono allentate le pressioni al rialzo sui prezzi del petrolio, che sono tornati ai livelli prebellici.
Il presidente può aver influenzato indirettamente le quotazioni, ma nessun presidente degli Stati Uniti può controllare davvero i prezzi globali del petrolio, che rappresentano la componente più importante del prezzo della benzina negli Stati Uniti.
Domanda e offerta a livello globale e statunitense sono i fattori chiave che determinano i prezzi del petrolio greggio. Il costo del petrolio greggio è il principale elemento che determina i prezzi al dettaglio della benzina negli Stati Uniti: rappresenta oltre il 52% del prezzo di un gallone di benzina normale al dettaglio, secondo le stime dell’AIE. Nel 2023, le tasse federali e statali rappresentavano il 14,4% del prezzo di un gallone di benzina, i costi e i profitti di distribuzione e marketing rappresentavano il 14,3% e i costi e i profitti di raffinazione il 18,7%.
I presidenti tendono per lo più ad attribuirsi il merito del calo dei prezzi della benzina e a dare la colpa dei prezzi elevati alle amministrazioni precedenti, a Putin o a chiunque appaia convenientemente colpevole. Questo a conferma del detto secondo cui i prezzi elevati della benzina sono uno dei peggiori timori di un presidente in carica.
L’ex presidente Biden e i democratici hanno attribuito a Putin la responsabilità dell’aumento del prezzo della benzina a 5 dollari al gallone nel 2022. Trump e i suoi alleati stanno attualmente decantando le politiche energetiche che garantiranno i prezzi del gas più bassi degli ultimi quattro anni per il Giorno dell’Indipendenza.
In realtà, le politiche commerciali e tariffarie del presidente Trump hanno spaventato i mercati e depresso i prezzi del petrolio, mentre trader e speculatori continuano a essere preoccupati per l’economia globale e statunitense nel caos commerciale. Insomma, un mix di fattori incide sul costo alla pompa negli USA, non solo la strategia di un presidente.
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