Youtuber e partita Iva: come funziona la tassazione in Italia

Caterina Gastaldi

21/06/2022

24/06/2022 - 17:30

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Come vengono tassati gli introiti fatti attraverso i video di YouTube in Italia? Ecco qualche suggerimento e chiarimento.

Youtuber e partita Iva: come funziona la tassazione in Italia

Quali sono le regole in Italia quando si tratta di dichiarare i guadagni di YouTube al Fisco e come ci si può muovere in questo senso?

Che si tratti di youtuber, blogger, o influencer, è facile che chi guadagna online si trovi di fronte ad alcune problematiche nel momento in cui bisogna andare a dichiarare i propri introiti al Fisco in Italia, anche per mancanza di regole ad hoc.

Esistono, chiaramente, dei modi per farlo, ma sarebbe sempre importante tenere conto del fatto che ogni situazione è diversa ed è quindi importante richiedere il supporto di un commercialista esperto in materia. Ma sicuramente informarsi prima ancora di iniziare a dare il via all’attività di youtuber per evitare sorprese sarebbe buona norma.

Come si guadagna su YouTube

Da alcuni anni è possibile guadagnare attraverso i video caricati su YouTube. Prima di cominciare però è importante sottolineare che, come per molte altre tipologie di guadagno online tramite advertising, per poter vivere di questo è necessario avere un grandissimo pubblico. Altrimenti c’è il rischio di trovarsi di fronte alla situazione in cui i guadagni online non siano abbastanza per coprire le spese necessarie per rimanere in regola con il Fisco.

Detto questo, gli youtuber hanno un proprio canale e possono richiedere alla piattaforma di venire riconosciuti come partner. Perché questo sia possibile è prima di tutto necessario avere un numero minimo di iscritti, visualizzazioni, e video caricati. Una volta che questo avviene è possibile collegare il proprio account di Google AdSense, così da guadagnare dalle pubblicità.

I modelli di business più comuni per YouTube sono:

  • utilizzare i video del proprio canale per pubblicizzare i servizi che si offrono;
  • fare pubblicità per terzi, in questo caso solitamente la monetizzazione si traduce nella ricezione di prodotti, in particolare quando si pubblicizza un prodotto in particolare invece che servizi offerti da aziende o privati;
  • l’inserimento della pubblicità attraverso AdSense all’interno dei propri video.

Chiaramente un’opzione non esclude l’altra, ma tutte richiedono un buon numero di iscritti e visualizzazioni per essere redditizie.

Partita Iva o prestazione occasionale?

Il tipo di attività che si fa su YouTube è quello pubblicitario. Per sua natura la professione di youtuber richiede di essere svolta in modo abituale e continuo. Queste due parole però sono anche quelle che implicano la necessità di aprire una partita Iva.

Infatti questa va aperta nel momento in cui si svolge un’attività che sia “abituale e continua”, in opposizione a quelle attività saltuarie che possono venire pagate con la modalità della prestazione occasionale, appunto.

I video, che siano personali o sponsorizzino prodotti di terzi, rimangono online per lungo tempo, così come le pubblicità che vengono inserite all’interno. Inoltre, uno youtuber solitamente deve pubblicare di frequente, per poter mantenere pubblico e visualizzazioni.

Non importa quindi quanto si guadagni, perché non esiste un minimo richiesto per aprire una partita Iva, questo tipo di attività non si può considerare una prestazione occasionale. Siccome però con l’apertura di una partita Iva ci si trova anche di fronte a diversi obblighi e costi fissi, per i piccoli youtuber questa opzione potrebbe non essere possibile. Sarebbe quindi meglio scegliere di attendere un aumento di pubblico in questo caso.

Scegliere il codice Ateco

Nel momento in cui si va ad aprire una partita Iva è necessario andare a selezionare il codice Ateco corretto che corrisponda al tipo di attività commerciale che si va a fare. Non esistono codici specifici per i guadagni online o di YouTube in Italia, ma bisogna scegliere tra due opzioni utilizzate anche per altre tipologie di attività.

Ricordiamo che, nel caso si possedesse già una partita Iva e quella di YouTube non fosse l’attività principale, si è comunque obbligati a comunicare l’avvio dell’attività accessoria e scegliere il codice attività corretto.

Nello specifico si può optare per il codice: 73.11.02 (Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari), oppure il 73.12.00 (Attività delle concessionarie pubblicitarie). Questo è uno dei casi in cui è meglio affidarsi anche al supporto di un commercialista, per evitare di commettere errori.

Si può scegliere il regime forfettario da youtuber?

Per poter portare avanti la professione di youtuber è necessario avere una partita Iva, oppure, alternativamente, si potrebbe anche andare a creare una società di persone o di capitali, in alcune situazioni particolari.

Il problema maggiore della partita Iva sono i costi fissi, ovvero i contributi del regime previdenziale dell’Inps (che però non sono dovuti per quei soggetti che sono già iscritti alla gestione previdenziale dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato).

Un’opzione per ovviare a questo problema può essere la scelta del regime forfettario, per coloro che ne hanno i requisiti. Infatti in questo modo si può andare a usufruire di diversi vantaggi, e dover anche versare dei contributi minori.

Importante ricordarsi due cose riguardo a questo regime, ovvero:

  • non tutti possono sceglierlo;
  • non permette il versamento di un intero anno di contributi Inps.

Le ritenute fiscali dei guadagni in Usa degli youtuber

Google è tenuta a raccogliere i dati fiscali dei creators che scelgono di aderire al Programma partner di YouTube (YPP), ai sensi del Capitolo 3 del Codice tributario statunitense. Sempre per quanto stabilito dal suddetto capitolo, Google deve anche trattenere le ritenute fiscali e segnalare all’autorità fiscale statunitense (IRS) i casi in cui i creators che partecipano al programma in questione percepiscono delle royalty da spettatori statunitensi.

In pratica Google è tenuta a detrarre le tasse per gli Stati Uniti da tutti i canali, indipendentemente dal fatto che si tratti di canali statunitensi o meno. Quindi non tutte le entrate sono interessate in questo processo, ma solo quei ricavi che avvengono attraverso visualizzazioni di spettatori degli Stati Uniti.

Per evitare di dover pagare un’alta percentuale di tasse su queste visualizzazioni, è necessario fornire a YouTube i propri dati fiscali. Infatti ci si trova di fronte a tre opzioni in questo caso:

  • se il creator fuori dagli Stati Uniti non inserisce i dati fiscali richiesti nell’account, allora verrà applicata l’aliquota della ritenuta alla fonte fino a un massimo del 24%;
  • nel caso in cui venissero inseriti tutti i dati necessari, e si va a rivendicare un’agevolazione ai sensi di una convenzione fiscale (come l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni) dove possibile, allora si potrà beneficiare di una riduzione dell’aliquota al 15% degli utili derivanti dagli spettatori negli Stati Uniti;
  • infine, può esserci il caso in cui vengono inviati i dati richiesti, ma non si è considerati idonei a rivendicare un’agevolazione ai sensi di una convenzione fiscale. In questa situazione l’aliquota fiscale, senza un trattato fiscale, diventa del 30% dei guadagni degli spettatori negli Stati Uniti.

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