L’azienda statunitense diventa proprietà della Russia, ma già riforniva di provviste l’esercito di Mosca.
I rapporti tra Stati Uniti e Russia non accennano ad appianarsi e anzi sembrano più incrinati che mai. Oltre alle ultime dichiarazioni di Trump e ai fallimentari colloqui con Putin, anche sul piano legale continuano i problemi. Ora il tribunale di Mosca ha ordinato il trasferimento dei beni di un’azienda alimentare statunitense allo Stato russo. Si tratta peraltro dell’unica azienda americana sequestrata dalla Russia. A riferirlo è l’agenzia Tass, che informa sulla fine del lungo contenzioso, almeno apparente. Non è infatti da escludere che venga presentato un ricorso, oltre all’imprevedibile impatto di questa decisione giudiziale su altre controversie pendenti tra Russia e Stati Uniti sui beni reciproci.
La nazionalizzazione di Glavprodukt
Per approfondire la decisione del tribunale di Mosca bisogna partire dall’origine, in questo caso dal sequestro che ha avviato la nazionalizzazione di Glavprodukt. L’indiscusso colosso della carne in scatola ha sede in Russia, precisamente a Mosca, ma è di proprietà statunitense. Il suo sequestro deriva da un’operazione giudiziaria che non riguarda direttamente gli Stati Uniti o i rapporti internazionali, ma comunque non manca di connotazioni politiche. Tutto ruota intorno al fondatore dell’azienda, Leonid Smirnov, russo che si è trasferito a Los Angeles dove ha sede legale la Universal Beverage Company, che controllava appunto Glavprodukt.
Quest’ultima è quindi una proprietà statunitense a tutti gli effetti, anche se opera a Mosca ed è rivolta esclusivamente al mercato russo. Basta dare un’occhiata agli spot pubblicitari per rendersene conto, le carni in scatola vengono infatti elogiate per il rispetto degli “standard sovietici” e numerosi prodotti presentano la certificazione Gost, ossia la conformità agli standard alimentari (obbligatoria per alcuni articoli) previsti dalla normativa russa. I guadagni, però, vanno direttamente negli States, come accade per tutte le aziende attive in Paesi diversi da quello della sede.
Nulla di strano da questo punto di vista, anche se la Russia non è mai stata contenta di ciò. In fondo, si tratta di una delle aziende più importanti della Federazione e il marchio è evidentemente russo. In ogni caso, non è questo che ha giustificato il sequestro che, come anticipato, deriva dalle accuse mosse al fondatore. In particolare, Smirnov ha ricevuto accuse piuttosto gravi per l’ordinamento russo: aver trasferito illegalmente 1,38 miliardi di rubli fuori dallo Stato nel periodo tra il 2022 e il 2024, un periodo
senz’altro delicato per il Cremlino.
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L’azienda statunitense va allo Stato russo
Smirnov ha negato le accuse, definendole un “raid aziendale in stile russo” ma ha comunque subito il sequestro di Glavprodukt. Quest’ultima è finita sotto la gestione dell’agenzia federale russa Rosimushchestvo, una sottodivisione del ministero dello Sviluppo economico. Le autorità russe hanno infatti ritenuto questa decisione fondamentale per garantire la continuità produttiva e la stabilità dell’approvvigionamento, soprattutto riguardo alle forniture per la Guardia Nazionale e il ministero della Difesa. Difficile pensare che non ci siano correlazioni con l’andamento della guerra in Ucraina, che impone il controllo di settori strategici e posizioni calcolate rispetto agli Stati esteri.
Il Segretario di Stato Usa Marco Rubio considera la questione rilevante nelle trattative con Washington ma ad oggi l’azienda, controllata alla fine da Alexander Tkachev, ex ministro dell’Agricoltura russo vicino a Putin, rifornisce l’esercito del Cremlino. Adesso, la decisione del tribunale moscovita completa il passaggio, con la proprietà trasferita definitivamente alla Russia. Certo, Smirnov ha annunciato un ricorso in appello contro la decisione, ma al momento non sembra avere grandi margini di vittoria. D’altra parte, Mosca deve fare i conti con un importante calo delle vendite, complici le difficoltà geopolitiche, che potrebbero portare a un’espansione delle esportazioni nei mercati asiatici, soprattutto Cina e Corea del Nord. Così, mentre aumentano le tensioni con gli Stati Uniti, Mosca segna un possibile punto di non ritorno, facendo temere per il destino dei numerosi beni esteri sequestrati in concomitanza con la trattazione europea su sanzioni e confische.
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