Come interpretare i rendimenti attuali e posizionarsi lungo la curva con coerenza in visione di una possibile recessione?
Nel contesto attuale dei mercati finanziari, scegliere su quale tratto della curva obbligazionaria posizionarsi è tutt’altro che banale.
Se osserviamo oggi la curva dei rendimenti, notiamo che le scadenze più remunerative si concentrano nella fascia dei 20-30 anni. Solo un anno fa, il quadro era capovolto: i rendimenti più alti si registravano sulle scadenze brevissime, come i Treasury a 1 mese. È la dimostrazione di quanto il mercato sia mutevole e, con esso, i prezzi delle obbligazioni.
Lo steepening non è avvenuto a causa di un taglio nel livello dei tassi, quanto piuttosto dai mutamenti nella domanda e nell’offerta del mercato. Chi ha scommesso sulle lunghe scadenze in visione di un taglio ha probabilmente avuto a oggi rendimenti negativi o pressoché nulli. Invece, chi ha scelto le brevi scadenze, scommettendo su un impennata delle instabilità economiche, ha generato valore sul mercato obbligazionario. Ma oggi, alle porte di una potenziale recessione, qual è la parte della curva migliore su cui posizionarsi?
Lo steepening della curva e la lezione degli ultimi 12 mesi
Nel corso dell’ultimo anno abbiamo assistito a uno steepening della curva: i rendimenti sulle scadenze lunghe sono aumentati progressivamente, mentre quelli sulle scadenze ultrabrevi si sono contratti. Il motivo è duplice. Da una parte, l’instabilità geopolitica e il timore crescente per una recessione hanno spinto molti investitori verso asset liquidi e considerati sicuri, come i Treasury a breve termine. Questa domanda ha fatto salire i prezzi e abbassare i rendimenti. Dall’altra parte, l’assenza di interesse per le scadenze lunghe ha generato un aumento dei rendimenti per renderle più appetibili.
In questo contesto, aver mantenuto una strategia focalizzata sulle scadenze brevi si è rivelato vincente. Non solo si è beneficiato di rendimenti iniziali superiori, ma anche di minore volatilità e di una maggiore agilità nel riallocare i capitali quando la curva ha iniziato a cambiare forma. Spostarsi su scadenze medie, tra i 3 e i 7 anni, ha permesso in alcuni casi di ottenere plusvalenze legate al movimento dei tassi, grazie a oscillazioni di prezzo favorevoli. Al contrario, le scadenze ultralunghe hanno vissuto un periodo difficile. Gli strumenti come il TLT, ETF su Treasury a lungo termine, hanno subito forti cali di prezzo, mentre i rendimenti sono rimasti per mesi nella stessa fascia (tra il 4,5% e il 4,74%), segno di un disallineamento tra le aspettative e la realtà dei flussi.
L’illusione monetaria: la trappola della speculazione sui tassi
C’è un punto fondamentale che spesso sfugge all’investitore medio: la tentazione di speculare sulle aspettative di tagli dei tassi. Molti hanno comprato obbligazioni a lunghissimo termine convinti che la Fed, vista la stabilizzazione dell’inflazione, sarebbe presto intervenuta con una politica più accomodante. Ma l’economia statunitense, paradossalmente, ha tenuto troppo bene. Ed è proprio questo il problema: chi ha puntato sulla lunga scadenza, ipotizzando un calo dei tassi, si è trovato con perdite in conto capitale perché i tassi sono rimasti alti e le aspettative sono state disattese.
Nel frattempo, le scadenze brevi hanno continuato a offrire rendimenti superiori, e la loro popolarità è aumentata. Ma ora si sta creando un altro paradosso. Con l’arrivo della recessione, sempre più investitori stanno fuggendo verso il brevissimo termine, convinti che le lunghe scadenze subiranno nuovi crolli. È un movimento controintuitivo, perché è proprio durante una fase recessiva che i tassi tendono a scendere e, con essi, i prezzi delle obbligazioni a lunga durata iniziano a salire. Questo fenomeno prende il nome di illusione monetaria: l’investitore crede di proteggersi scegliendo ciò che ha reso meglio negli ultimi mesi, senza accorgersi che il contesto è cambiato e che ora il mercato sta premiando l’opposto.
Un’economia forte…ma non troppo
Una parola che sembrava dimenticata dai mercati, ma che potrebbe tornare di moda nei prossimi mesi, è soft landing. Il dato più recente sul PIL USA indica una contrazione dello 0.3%, ma bisogna leggere oltre i numeri. Questo rallentamento non è frutto di un calo della domanda interna o di debolezza nei consumi, bensì del boom delle importazioni, alimentato dalla paura di nuove tariffe nell’eventualità di un ritorno di Trump alla presidenza. In realtà, altri indicatori chiave dell’economia americana raccontano un’altra storia: il tasso di disoccupazione è ancora molto basso, intorno al 4,3%, e i consumi retail restano positivi, con una crescita dell’1,5%.
Tutto questo suggerisce che non siamo ancora in piena recessione. Ma se la Fed dovesse iniziare a tagliare i tassi nel secondo semestre del 2025, le prime a beneficiarne sarebbero proprio le obbligazioni a lunga scadenza, oggi evitate per paura di ulteriori crolli. Ed è per questo che la curva non va letta in modo statico: le occasioni migliori potrebbero nascondersi dove oggi c’è pessimismo, e non dove si è concentrata la domanda.
Tra tattica e strategia, la curva va letta in profondità
Oggi più che mai, la scelta del posizionamento sulla curva obbligazionaria richiede una riflessione strategica. Guardare al rendimento corrente è solo il primo passo. Il vero vantaggio si ottiene combinando analisi del ciclo economico, previsione delle mosse della Fed, e comprensione delle dinamiche di mercato.
Chi nel 2023 ha saputo restare sulla parte corta della curva, ha avuto ragione. Ma ora che il ciclo sembra volgere verso una fase meno brillante, è forse il momento di iniziare a ragionare in ottica contrarian?
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