Ecco perché lo stipendio di dicembre deve essere pagato entro il 12 gennaio

Paolo Ballanti

10 Gennaio 2023 - 10:08

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Cosa succede se lo stipendio di dicembre non viene pagato entro il 12 gennaio 2023?

Ecco perché lo stipendio di dicembre deve essere pagato entro il 12 gennaio

Perché lo stipendio di dicembre deve essere pagato entro il 12 gennaio 2023? Lo stipendio dei lavoratori dipendenti è soggetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche, Irpef, comprese le somme e i valori dei beni e servizi percepiti a qualunque titolo e sempre in relazione al rapporto di lavoro.

Il calcolo dell’Irpef avviene prendendo in considerazione le retribuzioni corrisposte durante l’anno, a partire da quella del mese di gennaio, ma se consideriamo che, per esigenze di calcolo della busta paga, il netto può essere determinato e corrisposto nel mese successivo quello di competenza, si pone il problema della busta paga di dicembre.

Dal momento che, ai fini fiscali, il reddito da lavoro dipendente si considera soggetto a tassazione nel momento in cui è percepito dal lavoratore, il compenso di dicembre, pagato a gennaio, sarebbe teoricamente da considerarsi nel reddito dell’anno successivo. Si creerebbe quindi una discordanza tra i cedolini dell’anno (gennaio - dicembre) e il reddito ai fini fiscali, considerato escludendo la mensilità stessa di dicembre.

Per ovviare a questo problema, la normativa contempla il principio di «cassa allargato». Per una corretta applicazione del principio, tuttavia, lo stipendio di dicembre dev’essere pagato entro il 12 gennaio. Analizziamo in dettaglio perché.

Il criterio di «cassa allargato»

Ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir) approvato con decreto del presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986 numero 917, il reddito di lavoro dipendente è costituito da «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».

Il secondo periodo dell’articolo 51 precisa che si «considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono».

Il principio in questione, cosiddetto di «cassa allargato», consente di liquidare le buste paga di dicembre nei primi giorni del mese di gennaio, qualificandole comunque come di competenza del periodo d’imposta precedente.

Così, ad esempio, l’azienda Alfa che liquida di norma le retribuzioni entro il giorno 5 del mese successivo quello di competenza, potrà corrispondere il netto risultante dal cedolino di dicembre 2022 entro giovedì 5 gennaio 2023. Le somme in questione si aggiungeranno così a quelle di competenza delle buste paga da gennaio a novembre 2022.

Per il versamento con modello F24 delle ritenute fiscali operate nei cedolini di dicembre, vale comunque il criterio generale. Di conseguenza, l’azienda può versare l’F24 entro il 16 febbraio.

Cosa succede se il 12 gennaio cade di sabato o domenica?

Per il 12 gennaio non si applica la regola dello spostamento del termine al primo giorno lavorativo successivo, nel caso in cui questo cada di sabato o domenica.

Come precisato nella circolare Agenzia Entrate del 15 gennaio 2003, il 12 gennaio non rappresenta un termine di prescrizione e, pertanto, non può trovare applicazione la disposizione di cui all’articolo 2963 del Codice civile, con cui si proroga di diritto il termine scadente in un giorno festivo al giorno seguente non festivo.

Cosa succede se non si rispetta la scadenza del 12 gennaio?

Le somme corrisposte oltre la data del 12 gennaio dovranno essere considerate di competenza del periodo d’imposta successivo.

Di conseguenza, il reddito 2023 comprenderà anche la retribuzione di dicembre, con tutte le conseguenze in termini di Irpef, addizionali regionali e comunali, detrazioni d’imposta, bonus «100 euro».

Come rispettare la scadenza del 12 gennaio?

A norma dell’articolo 1, commi dal 910 al 914, legge 27 dicembre 2017 numero 205 (Manovra 2018), dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro e i committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo della stessa, a mezzo strumenti di pagamento tracciabili, come:

  • bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronico;
  • contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro - committente ha aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • assegno o vaglia postale, consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato (coniuge, convivente o familiare, in linea retta o collaterale, purché di età non inferiore a 16 anni).

Tra gli strumenti elettronici di pagamento è altresì possibile utilizzare una carta di credito prepagata intestata al lavoratore, anche se non collegata a un Iban.

Alla luce delle novità normative citate, per il rispetto della data del 12 gennaio è necessario considerare il momento in cui il dipendente consegue la effettiva disponibilità delle somme. Ad esempio, nel caso di compensi riconosciuti mediante bonifico bancario, quest’ultimo coincide con il giorno in cui il dipendente riceve l’accredito sul proprio conto corrente.

SI parla infatti di «data disponibile», per indicare il giorno a partire dal quale la somma di denaro accreditata può essere effettivamente utilizzata.

Al contrario, per le retribuzioni corrisposte con assegno circolare o bancario, il pagamento risulta ottemperato nel momento in cui il dipendente entra in possesso del titolo.

Il datore di lavoro, allo scopo di dimostrare la data di pagamento, è tenuto a conservare tutta la documentazione necessaria.

Il principio di cassa allargato si applica ai collaboratori?

Il principio di cassa allargato opera anche per i redditi di lavoro assimilati a quelli di lavoro dipendente, ad esempio i compensi agli amministratori.

Lo stesso principio non opera invece per la determinazione del reddito di lavoro autonomo, ai sensi dell’articolo 54 del Tuir.

Cosa accade per le altre tipologie di reddito?

Il criterio utile per valutare quando il reddito diviene disponibile e, pertanto, imponibile ai fini fiscali, varia in funzione della categoria di appartenenza dello stesso.

Sono infatti soggetti al criterio di cassa, in base al quale le somme sono disponibili al momento della loro percezione, i redditi:

  • da lavoro autonomo;
  • da lavoro dipendente;
  • di capitale (eccezion fatta per l’applicazione del regime del risparmio gestito);
  • diversi;
  • di impresa con contabilità semplificata e regime forfettario.

Al contrario, si applica il regime di competenza, secondo cui si considera la competenza economica, a prescindere dall’effettiva percezione delle somme, nei confronti dei redditi di impresa con contabilità ordinaria.

Da ultimo, opera per i redditi fondiari il criterio della titolarità. In base a quest’ultimo, rileva ai fini fiscali la mera disponibilità del bene in base alla proprietà o altro diritto reale. Un’eccezione riguarda le locazioni di abitazioni, dal momento che è possibile non dichiarare i canoni non percepiti, risultanti dal procedimento di convalida di sfratto. In tal caso, tuttavia, dev’essere comunque dichiarata la rendita catastale.

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