La scelta del fondatore Daniel Ek di investire massicciamente nella startup di droni militari Helsing scatena una bufera tra artisti e appassionati: è solo business o la musica finanzia la guerra?
Con oltre 678 milioni di utenti e più di 15 miliardi di dollari di ricavi nel 2024 Spotify è la piattaforma di musica e podcast tra le più utilizzate in tutto il mondo. Eppure si trova oggi al centro di una polemica che sta indignando artisti e utenti.
Il motivo è legato al recente annuncio del fondatore e CEO Daniel Ek, 42 anni, svedese, che negli scorsi giorni ha annunciato un investimento di quasi 700 milioni di dollari nella startup tedesca Helsing, valutata intorno ai 12 miliardi e specializzata nella produzione di droni militari e tecnologie di difesa avanzate.
“L’Europa deve difendersi”, il commento del patron di Spotify, che grazie a questa operazione è diventato presidente del consiglio di amministrazione della società.
Il boicottaggio degli artisti contro Spotify: “Non vogliamo che la nostra musica uccida”
L’annuncio ha subito generato una reazione a catena tra molti esponenti del mondo musicale, che si rifiutano di diventare, anche indirettamente, motore di finanziamento per l’industria bellica e sollevano interrogativi sulla compatibilità tra business ed etica.
Il primo fronte del dissenso, infatti, è arrivato proprio dagli artisti che con Spotify costruiscono una parte significativa dei propri profitti. Il caso simbolo è quello della band indie americana Deerhoof, che ha comunicato pubblicamente la rimozione della propria musica dalla piattaforma come segno di protesta. Nel loro messaggio su Instagram si legge:
Stiamo togliendo Deerhoof da Spotify. Daniel Ek usa 700 milioni del suo patrimonio Spotify per diventare il presidente di una compagnia hi-tech militare. Non vogliamo che la nostra musica uccida le persone.
Anche la scena italiana si è mobilitata. Tra i primi a prendere posizione vi sono stati Piero Pelù e Mannarino. Pelù, ad esempio, sul suo profilo Instagram, ha scritto senza mezzi termini:
Il multi-mega miliardario della musica investirà i suoi soldi nella costruzione di droni ipertecnologici per fare la guerra e ammazzare altre persone. Lo schifo che sto avendo per certe frange del genere umano non trova mai un limite perché ogni limite viene abbattuto ogni giorno per farci cadere sempre più in basso.
Più tagliente ancora la presa di posizione di Mannarino, che dal palco dell’evento solidale “Non in mio nome” a Roma ha definito l’operazione “una negazione della coscienza umana e dell’umanità”.
Non tutti, però, possono scegliere di ritirare i propri brani. Come ha sottolineato anche Willie Peyote durante un suo recente concerto, spesso i diritti non appartengono all’artista ma alle etichette, che decidono se e come distribuire la musica sulle piattaforme:
Tutti siamo su Spotify, non è che io posso cancellarmi da Spotify. Ma questo spende 600 milioni di dollari per droni militari. E ne ha spesi 150 mila nella festa di insediamento di Trump. E nessun artista dice niente. E a me sembra abbastanza un controsenso.
Mentre molti personaggi della scena italiana e internazionale invitano i colleghi a unirsi in massa al boicottaggio, la maggior parte del mondo musicale resta infatti in silenzio. Questo perché numerosi artisti temono di subire danni d’immagine o penalizzazioni algoritmiche da parte di Spotify, che detiene un potere quasi monopolistico sulla promozione della musica digitale.
La reazione scattata in risposta all’investimento di Daniel Ek rappresenta infatti un segno di rottura nei confronti di un intero modello di business in cui la “voce” degli artisti risulta sempre più debole rispetto alla macchina dei profitti globale.
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