Un rapporto storico rivela che il vero ciclo dell’oro potrebbe non essere ancora iniziato, nonostante i massimi recenti e la forza delle azioni USA.
Negli ultimi anni il prezzo dell’oro è salito tanto. Ma è salito anche troppo? Una domanda che molti investitori si pongono, specie in una fase storica in cui ogni asset sembra vivere cicli accelerati e non sempre razionali. Il punto chiave, però, resta uno: anche se esistono diversi modelli per stimare un presunto valore “fair” del metallo giallo, la verità è semplice e cruda. Il prezzo dell’oro è determinato solo dall’incontro tra domanda e offerta. Solo questo. Non c’è un flusso di cassa da attualizzare, non c’è un tasso di sconto, non c’è un business da valutare. Questa apparente fragilità, paradossalmente, è ciò che rende l’oro unico: imprevedibile nel breve, ma straordinariamente coerente nel lungo termine.
Ed è proprio qui che nasce la domanda più intrigante. Se il futuro del metallo dipende dalla domanda, allora ha senso chiedersi: come si misura, in modo relativo, se oggi l’oro è davvero “pesante” o “leggero” rispetto al resto del mercato? Esiste un ancoraggio, un riferimento empirico che ci consenta di capire se il rally degli ultimi anni è già maturo oppure se, al contrario, siamo solo all’inizio? Un’evidenza d’oro esiste eccome. E la risposta viene da uno dei rapporti più sottovalutati dell’intera macrofinanza.
Il rapporto oro-equity USA: l’indicatore che inquadra 100 anni di storia
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