È scoppiata una nuova guerra, ma pochi ne parlano

Luna Luciano

27 Luglio 2025 - 11:37

Mentre l’attenzione mediatica è altrove, Thailandia e Cambogia combattono una nuova guerra al confine. Sono centinaia di migliaia gli sfollati.

È scoppiata una nuova guerra, ma pochi ne parlano

Continuano gli scontri tra Cambogia e Thailandia. Il conflitto, che affonda le sue radici storiche negli inizi del ’900, si è riacceso dopo lunghi periodi di tensioni.
In un mondo dove l’attenzione pubblica è spesso catalizzata da conflitti più noti, come quello tra Russia e Ucraina o sul genocidio a Gaza, un altro fronte bellico si è acceso nel sud-est asiatico, nel silenzio quasi generale.

Thailandia e Cambogia si stanno affrontando lungo il confine nord-occidentale in quello che è ormai considerato il confronto armato più sanguinoso tra i due Paesi negli ultimi decenni.

Il bilancio provvisorio conta oltre 30 vittime accertate e più di 200.000 sfollati, mentre continuano le accuse reciproche tra Bangkok e Phnom Penh. I combattimenti, che coinvolgono anche aree civili, si concentrano intorno a templi sacri situati in zone di confine da sempre contese.

Nonostante i tentativi di mediazione internazionale, incluso un intervento del presidente statunitense Donald Trump, i due governi sembrano lontani da un accordo. Sul campo, i militari continuano a scambiarsi colpi di artiglieria, mentre l’ONU chiede un cessate il fuoco immediato. Questa guerra “dimenticata” rischia di infiammare l’intera regione. Scopriamo insieme quali sono le cause storiche del conflitto e cosa sta accadendo adesso al confine tra i due Paesi: di seguito tutto quello che serve sapere a riguardo.

Guerra Cambogia-Thailandia, la storia e le cause del conflitto

Le radici del conflitto tra Thailandia e Cambogia affondano nei primi anni del Novecento, quando l’Indocina francese, che includeva la Cambogia, veniva delineata attraverso trattati spesso imprecisi e ambigui. Tra il 1904 e il 1907, la Francia firmò accordi con il Siam (l’attuale Thailandia) per stabilire i confini tra le rispettive colonie, tracciando linee che, come in molti casi nella storia del colonialismo, ignoravano la geografia, la storia e la cultura locale per prediligere gli interessi economici dei colonizzatori. Questi confini mal definiti sono oggi alla base delle principali dispute territoriali.

Una delle aree più contese è quella attorno al tempio sacro di Preah Vihear, simbolo dell’architettura khmer e riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Nel 1962, la Corte Internazionale di Giustizia assegnò la sovranità del tempio alla Cambogia, ma la Thailandia non accettò mai pienamente la sentenza. Il conflitto si è riacceso più volte, in particolare tra il 2008 e il 2011, quando si verificarono scontri armati e la situazione divenne instabile.

Un altro luogo simbolico del conflitto è il tempio di Ta Moan Thom, situato in una posizione strategica lungo il confine. Sebbene oggi sia formalmente sotto il controllo thailandese, la Cambogia ne rivendica la proprietà, sostenendo che rientri nei territori assegnati durante l’epoca coloniale. Questo “vuoto giuridico” ha lasciato spazio a interpretazioni contrastanti, alimentate dal nazionalismo e dalle narrative storiche che entrambi i Paesi utilizzano per giustificare le proprie rivendicazioni. Il lungo confine di oltre 800 chilometri rappresenta infine un ulteriore fattore critico: difficile da controllare, attraversa zone montuose ricche di templi sacri, rendendo la gestione delle tensioni ancora più complessa.

Guerra Cambogia-Thailandia, cosa sta accadendo e gli sforzi diplomatici

Gli scontri sono ufficialmente iniziati il 24 luglio, ma le tensioni erano nell’aria da tempo. Solo pochi giorni prima, il 21 luglio, l’esplosione di due mine antiuomo al confine aveva ferito gravemente alcuni soldati thailandesi - la miccia che ha innescato il fuoco armato: ambasciatori richiamati, confini bloccati anche per i turisti, accuse incrociate di provocazioni e violazioni del diritto internazionale. Le forze armate thailandesi hanno perfino mobilitato un caccia F-16, ipotizzando attacchi di precisione, mentre la Cambogia ha rafforzato la propria presenza militare nelle aree contestate.

Sul fronte diplomatico, gli Stati Uniti , storicamente alleati della Thailandia, hanno provato a mediare. Il presidente Trump ha telefonato ai leader di entrambi i Paesi: Hun Manet (Cambogia) e Phumtham Wechayachai (Thailandia) hanno annunciato pubblicamente la volontà di negoziare un cessate il fuoco. Tuttavia, sul terreno, le ostilità non accennano a diminuire e le operazioni militari proseguono.

Un ruolo non secondario lo gioca anche la politica interna thailandese: all’inizio di luglio, la premier Paetongtarn Shinawatra è stata rimossa dalla Corte costituzionale per una telefonata con l’ex premier cambogiano Hun Sen, in cui usava toni concilianti. Questo ha generato forti proteste interne e un cambio di leadership, interpretato come segnale di debolezza. In un clima simile, il nuovo governo thailandese ha adottato una linea più dura.

Le Nazioni Unite hanno chiesto una tregua immediata e hanno condannato l’uso di munizioni a grappolo, impiegate da parte della Cambogia secondo Bangkok, e gli attacchi a strutture civili, imputati alla Thailandia da Phnom Penh. Tuttavia, gli appelli internazionali restano per ora inascoltati. La verità è che, mentre il mondo guarda alla Russia e finalmente alcuni Paesi riconoscono il genocidio palestinese, in Asia sud-orientale si combatte un conflitto sanguinario, con conseguenze umanitarie e geopolitiche ancora tutte da decifrare. Il rischio è che debba passare ancora del tempo prima che la comunità internazionale agisca diplomaticamente, come sta accadendo a Gaza.

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# Guerra

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