Salario minimo, anche in Italia esiste: quanto bisogna guadagnare per essere in regola con la legge

Alessandro Nuzzo

18/05/2023

18/05/2023 - 22:56

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Il caso del tribunale di Bologna che ha riconosciuto ad una lavoratrice la differenza di retribuzione tra la sua busta paga e quanto deciso dal contratto collettivo nazionale.

Salario minimo, anche in Italia esiste: quanto bisogna guadagnare per essere in regola con la legge

Sono anni che in Italia si parla di salario minimo ma ad oggi nulla è stato fatto. Così i datori di lavoro possono ancora sentirsi liberi di scegliere lo stipendio da dare ai propri dipendenti offrendo spesso cifre al limite della dignità umana. Eppure anche in assenza di una legge nazionale che stabilisca una soglia minima di stipendio oltre la quale per legge non si può scendere, esistono dei casi in cui si può già parlare di salario minimo con la possibilità di portare il datore di lavoro dinnanzi ad un giudice.

Come successo ad una lavoratrice del turismo dipendente di una cooperativa che ha citato in giudizio il datore di lavoro per il suo salario troppo basso e i giudici gli hanno dato ragione. Questa sentenza rappresenta un precedente interessante destinato a pesare in futuro sulla retribuzione di lavoratrici e lavoratori della cooperazione e non solo.

Per i lavoratori delle società cooperative esiste un salario minimo: lo dice una sentenza

La vicenda che ha creato un precedente interessante ha visto coinvolta una lavoratrice del turismo di Bologna, cameriera ai piani di un albergo sotto contratto con una cooperativa che applicava un contratto peggiore rispetto a quanto stabilito dal Ccnl del Turismo e sottoscritto da tutte le sigle sindacali.

In pratica leggendo la busta paga la lavoratrice si è accorta di percepire una retribuzione oraria di 6,705 euro lordi quando il contratto nazionale parla di un importo orario di 8,24 euro. Siccome siamo ben sotto la soglia, la donna si è rivolta al suo sindacato, la Filcams Cgil, che si è accorto che la busta paga non era corretta. Ha aperto così una vertenza sia contro l’albergo soggetto appaltante che contro la società cooperativa. I solleciti non hanno ottenuto risposto ma anzi la società ha perso nel frattempo anche l’appalto lasciando la lavoratrice a casa in difficoltà economica.

Dinnanzi al silenzio gli avvocati hanno proseguito con un decreto ingiuntivo nei confronti della coop, chiedendo le differenze retributive maturate nel periodo di lavoro, oltre 2.000 euro per circa 6 mesi. Il tribunale di Bologna ha intimato il pagamento alla società, che però ha presentato ricorso contro il decreto. La vicenda è arrivata così davanti a un giudice ordinario che ha emesso la sentenza.

I giudici hanno dato ragione alla lavoratrice in primis alla luce del diritto a una retribuzione proporzionata come stabilito dall’articolo 36 della Costituzione. La proporzionalità va ricercata nei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Aspetto particolarmente significativo della sentenza sta anche nell’attribuzione dell’onere probatorio alla parte datoriale. Spetta al datore di lavoro provare che il contratto che vuole applicare è quello comparativamente più rappresentativo.

La sentenza di Bologna può essere insomma un precedente interessante per tutelare chi percepisce uno stipendio più basso di quanto stabilito dai un contratto collettivo nazionale di categoria. Soprattutto nel settore del turismo l’applicazione di contratti che abbassano ulteriormente salari già poveri è all’ordine del giorno. E questa sentenza può essere la svolta,

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