Resipiscenza, cosa significa: la ragione per cui il minorenne che ha preso parte allo stupro è stato scarcerato

Ilena D’Errico

22/08/2023

22/08/2023 - 20:51

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Scarcerato il minorenne - all’epoca dei fatti - accusato di aver preso parte allo stupro di gruppo a Palermo, dopo la confessione, per aver mostrato resipiscenza. Ecco perché e cosa significa.

Resipiscenza, cosa significa: la ragione per cui il minorenne che ha preso parte allo stupro è stato scarcerato

Fa scalpore la scarcerazione del giovane palermitano – minorenne all’epoca dei fatti – accusato di aver preso parte allo stupro di gruppo. Di fronte a prove definite proprio dal Gip come quasi incontrovertibili e alla stessa confessione dell’imputato, quest’ultimo è stato indirizzato presso una comunità e per l’appunto scarcerato. Tra le motivazioni addotte dal magistrato c’è il principio di resipiscenza dell’indagato, affermazione che contribuisce a creare non poca confusione nel pubblico.

Non è la prima volta in cui queste notizie su “scarcerazioni” generano sentimenti di indignazione e ingiustizia, complice l’estrema gravità del reato ma anche la mancata conoscenza degli effettivi meccanismi seguiti dalla legge. Cerchiamo dunque di capire che cosa significa resipiscenza e perché il giovane è stato scarcerato.

Cosa significa resipiscenza?

Resipiscenza significa letteralmente consapevolezza del proprio errore, con una sfumatura di significato che spesso lascia intendere anche il ravvedimento, il pentimento. Il termine è entrato nel linguaggio giuridico come circostanza soggettiva (applicata a ognuno personalmente) apprezzabile dal giudice in sede di determinazione della pena o altri provvedimenti.

In alcuni casi la resipiscenza si traduce praticamente in una minore lesione del diritto, ad esempio nei casi in cui questo cambio di coscienza avviene durante il compimento del reato. Altrimenti, la resipiscenza può avere rilevanza dal punto di vista del pericolo di reiterazione e delinquenza, essendo su questi elementi che si concentra il nostro sistema penale al fine rieducativo.

L’obbiettivo è quello di rieducare chi commette reati, affinché non si ripetano, ecco perché il pentimento del reo può assumere valore legale. Chiaramente, questo non significa che il colpevole non sia condannato solo perché pentito o che abbia diritto ad attenuanti o concessioni di qualsiasi genere. Si tratta solo di uno dei molti elementi presi in considerazione dal tribunale, proprio come è accaduto in questi giorni.

Tornando al caso specifico, il gip ha fatto riferimento al “principio di resipiscenza e rivisitazione critica” dell’accusato, presumibilmente in riferimento alla confessione. Non sono noti i dettagli, ma dai pochi elementi diffusi dai media questa analisi appare discutibile. Pare, infatti, che il ragazzo abbia confessato il reato senza però dimostrare effettiva consapevolezza, riferendosi allo stupro come “rapporto consensuale”.

Allo stesso tempo, pare che l’imputato si sia mostrato disponibile a collaborare, anche se non è in ogni caso possibile avere un’idea chiara senza considerare le dichiarazioni del ragazzo – non pubbliche - né gli altri elementi rilevanti. Questa scarcerazione, peraltro, non ha alcuna rilevanza sulla punizione del reato.

Perché il minorenne è stato scarcerato?

Per comprendere le ragioni che hanno portato alla scarcerazione – peraltro impugnata dalla procura dei minori - è necessario considerare che nel nostro ordinamento i minorenni godono di particolare tutela, anche dal punto di vista penale.

Questo non significa, o perlomeno non dovrebbe, tradursi in impunità, ma semplicemente in un diverso parametro di valutazione. Il giudice Valerio De Gioia, cercando di spiegare il concetto nell’intervista a Fanpage, ha parlato in proposito di “benevolenza”. In effetti, la minore età è un’attenuante nell’ordinamento penale, anche per la funzionalità stessa della rieducazione.

Questo non significa che i minorenni non siano condannabili per i reati commessi, ma solo che la pena è spesso ridotta e che non possa in ogni caso trattarsi di ergastolo. Nella pratica, poi, è molto raro che i minorenni siano detenuti in carcere laddove considerato evitabile. A rilevare, poi, è anche la presenza di precedenti penali che dà indicazioni sulla pericolosità del soggetto e le possibilità di reiterazione del reato.

Nel caso di specie, l’indagato è incensurato e secondo il Gip “inserito in un assetto educativo”. Per questo, è stata preferita la comunità, dove può essere seguito da educatori specializzati, in luogo del proseguimento della vita in famiglia, evidentemente insufficiente a provvedere.

Questi elementi hanno quindi portato alla “scarcerazione”, che non ha però il significato che in molti attribuiscono. Prima della condanna comminata da un giudice all’esito del processo, l’indagato va in carcere soltanto per l’esecuzione di una misura cautelare. Quest’ultima non ha già effetto punitivo e rieducativo, ma è necessaria per evitare l’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato o la fuga.

Nel caso di specie, il giudice ha quindi considerato che, essendo il ragazzo incensurato e resipiscente, non ci siano pericoli immediati di questo genere. Questo, però, non esclude la possibilità di una condanna detentiva al termine del processo.

La procura dei minori ha comunque impugnato l’ordinanza di scarcerazione, evidentemente non d’accordo con questa analisi, probabilmente non avendo ravveduto lo stesso principio di resipiscenza nelle ammissioni dell’indagato. Non resta che attendere l’esito dell’impugnazione sulla misura cautelare, che si ricorda non riguardare la pena.

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