La reperibilità va compresa nell’orario di lavoro: la sentenza della Corte di Giustizia UE

Simone Micocci

22 Febbraio 2018 - 10:48

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Secondo i magistrati europei in determinate circostanze la reperibilità va compresa nell’orario di lavoro. Questo perché il dipendente è limitato nelle sue azioni e non può riposarsi come dovrebbe.

La reperibilità va compresa nell’orario di lavoro: la sentenza della Corte di Giustizia UE

La reperibilità è l’obbligo che hanno alcune categorie di lavoratori di essere prontamente rintracciabili anche al di fuori dell’orario di lavoro, così da poter intervenire in tempo per risolvere un problema non previsto o per affrontare un’urgenza.

La reperibilità è particolarmente diffusa in ambito sanitario, ma anche in settori come quello manifatturiero dove ai tecnici viene chiesto di essere reperibili per la manutenzione tempestiva dei macchinari. Anche nei Vigili del Fuoco la reperibilità è molto diffusa.

Negli orari della giornata in cui deve essere reperibile il dipendente percepisce una prestazione strumentale e accessoria, di un importo inferiore alla retribuzione prevista nelle ore di lavoro. Solo nel caso in cui viene effettivamente chiamato con urgenza dall’azienda al dipendente spetta sia l’indennità di reperibilità che lo stipendio per le ore lavorate.

La reperibilità viene regolamentata dai singoli CCNL, nei quali viene indicata la durata, la collocazione temporale (il tempo che passa dalla chiamata dell’azienda all’arrivo sul posto di lavoro) e il compenso previsto per le ore di reperibilità. Ci sono dei settori ad esempio in cui viene chiesto al dipendente di presentarsi al lavoro con la massima urgenza; ed è proprio a questi che fa riferimento una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea secondo la quale in determinati casi la reperibilità va considerata a tutti gli effetti come orario di servizio.

Quando la reperibilità vale come un’ora di servizio

Nella normativa comunitaria (precisamente nell’articolo 1 del d.lgs. 66/2003) l’orario di lavoro viene definito come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Stando a quanto descritto in questo articolo, quindi, la reperibilità non va compresa nell’orario di lavoro dal momento che in questo periodo il dipendente si rende solamente disponibile per lo svolgimento della prestazione; disponibilità che non sempre si concretizza.

Tuttavia la recente sentenza della Corte di Giustizia europea pone un’eccezione: secondo i magistrati europei, infatti, quando il lavoratore deve rispondere alla chiamata dell’azienda con particolare urgenza la reperibilità va compresa nell’orario di servizio.

Nel caso di specie i giudici hanno accolto il ricorso presentato da un Vigile del Fuoco volontario di Nivelles (piccolo Comune belga) che chiedeva il riconoscimento delle ore di reperibilità come ore di servizio.

Secondo i magistrati europei questa sua richiesta è fondata dal momento che il Vigile del Fuoco era obbligato a presentarsi sul posto di lavoro in meno di 8 minuti.

Come dichiarato dalla Corte di Giustizia, questa urgenza limita fortemente la possibilità del lavoratore di svolgere un’altra attività e di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali. Quindi anche se nel periodo compreso nella reperibilità il dipendente si trova nel suo domicilio e non sul posto di lavoro è comunque limitato nelle sue azioni; per questo motivo la reperibilità va compresa nell’orario di lavoro - con tutti gli effetti che ne conseguono - e non può essere considerata come riposo.

L’importanza della sentenza della Corte di Giustizia

Nella sentenza la Corte di Giustizia europea ha ricordato agli Stati membri che non possono mai venir meno al regolamento (d.lgs. 66/2003) che disciplina l’orario di lavoro e il periodo di riposo.

Direttiva che non consente agli Stati di dare un significato del concetto di “orario di lavoro” differente da quello indicato nella normativa dell’Unione Europea. L’unica discrezionalità dei Paesi membri è quella riconosciuta per l’introduzione di disposizioni che favoriscano la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e non il contrario.

Di conseguenza se la reperibilità è caratterizzata da una particolare urgenza va considerata nel computo totale delle ore di lavoro che - ricordiamo - non possono superare il limite delle 48 ore settimanali. Per lo stesso motivo nelle 11 ore di riposo continuative che devono essere garantite al dipendente che lavora a turni non può essere disposta questa tipologia di reperibilità.

Ciò naturalmente non vale quando la reperibilità non presenta quel parametro di urgenza rilevato dalla Corte di Giustizia; qualora al dipendente venga chiesto di essere solamente a disposizione del datore di lavoro - affinché questo possa contattarlo in qualsiasi momento - la reperibilità non sarebbe compresa nell’orario di lavoro.

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