Quella volta in cui Barilla si dichiarò contraria ai valori LGBT

Giorgia Paccione

19 Agosto 2025 - 10:28

Nel 2013 Barilla si trovò al centro di una bufera mediatica dopo le dichiarazioni del presidente Guido Barilla, che esclusero le famiglie omosessuali dagli spot pubblicitari.

Quella volta in cui Barilla si dichiarò contraria ai valori LGBT

Era il 25 settembre 2013 quando Guido Barilla, presidente dell’omonima azienda leader mondiale nella produzione di pasta, intervenne ai microfoni di Radio24 e pronunciò una frase destinata a segnare l’inizio di una crisi reputazionale senza precedenti: “Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”. In pochi minuti, quelle parole fecero il giro del web, scatenando una reazione senza precedenti tra consumatori, associazioni LGBT, media e concorrenti.

La posizione espressa da Barilla non fu solo una dichiarazione di intenti pubblicitari, ma venne percepita come una presa di posizione netta contro i valori di inclusione e rispetto delle diversità. Sui social network nacquero campagne di boicottaggio (#boicottabarilla), le associazioni per i diritti civili condannarono pubblicamente l’azienda e persino alcuni distributori internazionali decisero di escludere i prodotti Barilla dai propri punti vendita. La reputazione del marchio, storicamente legata all’immagine della famiglia italiana, subì un duro colpo, con un calo delle vendite e una perdita di posizioni nelle classifiche di reputazione aziendale.

La crisi reputazionale di Barilla e la risposta del mercato

Le dichiarazioni di Guido Barilla non passarono inosservate nemmeno tra i concorrenti, che colsero l’occasione per differenziarsi. Buitoni, ad esempio, lanciò lo slogan “A casa Buitoni c’è posto per tutti”, sottolineando la propria apertura e inclusività. Nel frattempo, la pressione dell’opinione pubblica e dei social media si fece sempre più intensa e la richiesta di boicottaggio divenne globale, coinvolgendo consumatori di diversi Paesi e portando il caso Barilla sulle prime pagine dei media internazionali.

La crisi reputazionale fu tale che, nel 2014, Barilla perse ben 21 posizioni nella classifica annuale del Reputation Institute, un dato che evidenziava quanto il danno d’immagine avesse inciso sulla percezione pubblica dell’azienda. Persino Harvard, una delle università più prestigiose al mondo, dichiarò “off limits” i prodotti Barilla nelle proprie mense.

Il caso Barilla, dal boicottaggio all’inclusione

Di fronte a una crisi senza precedenti, Barilla comprese la necessità di una svolta radicale. Arrivarono le scuse ufficiali di Guido Barilla, che ammise l’errore e dichiarò di avere “il massimo rispetto per i gay e per la libertà di espressione di chiunque”. Ma non si trattò solo di parole, l’azienda avviò un profondo processo di trasformazione interna, guidato dall’amministratore delegato Claudio Colzani.

Barilla istituì un Diversity & Inclusion Board, coinvolgendo esperti esterni e rappresentanti della comunità LGBT, tra cui l’attivista David Mixner e il campione paralimpico Alex Zanardi. Furono introdotti programmi di formazione per i dipendenti, campagne di sensibilizzazione e nuove politiche aziendali orientate all’inclusione e alla valorizzazione delle diversità. L’azienda collaborò con organizzazioni internazionali come Human Rights Campaign, GLAAD e Catalyst, sostenendo eventi e iniziative contro l’omofobia e a favore dei diritti LGBT.

I risultati di questo percorso non tardarono ad arrivare. Negli anni successivi, Barilla ottenne il punteggio massimo (100/100) nel Corporate Equality Index della Human Rights Campaign per cinque anni consecutivi, diventando un esempio virtuoso di inclusione a livello globale. Oggi, la multinazionale parmense è considerata una delle aziende più avanzate in tema di diversity e inclusion, sia in Italia che all’estero.

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