Quell’errore disastroso che ha (quasi) portato Disney alla rovina

Antonio D’Andrea

18 Ottobre 2025 - 06:53

Un colosso dell’intrattenimento caduto in una crisi profonda per errori di leadership, conflitti interni e scelte miopi, ma capace di rinascere grazie a visione e rinnovamento strategico.

Quell’errore disastroso che ha (quasi) portato Disney alla rovina

La storia di Disney rappresenta uno dei casi più emblematici di come errori manageriali possano trascinare verso l’abisso anche i colossi mondiali. Negli anni ’90 e 2000, la società ha vissuto una delle crisi più profonde della sua storia, un periodo buio che ha messo a nudo le fragilità di un’azienda considerata inattaccabile. Al centro di questa tempesta perfetta si trovava Michael Eisner, amministratore delegato dal 1984 al 2005, la cui leadership inizialmente brillante si trasformò gradualmente in un catalizzatore di conflitti interni e decisioni strategiche disastrose.

Il declino di Disney sotto la gestione Eisner non fu un evento improvviso, ma piuttosto il risultato di una serie di scelte manageriali che minarono sistematicamente la cultura aziendale e la capacità innovativa dell’azienda.

Gli errori della gestione di Eisner in Disney

Eisner, che aveva inizialmente rivitalizzato Disney negli anni ’80 con successi come «La Sirenetta» e «Il Re Leone», sviluppò progressivamente uno stile di leadership sempre più accentratore e conflittuale. La sua tendenza a microgestire ogni aspetto dell’azienda, combinata con una crescente paranoia verso potenziali rivali interni, creò un ambiente lavorativo tossico che allontanò alcuni dei talenti più brillanti dell’industria dell’intrattenimento. Jeffrey Katzenberg, il geniale responsabile della divisione animazione che aveva orchestrato il rinascimento Disney degli anni ’90, fu costretto ad abbandonare l’azienda nel 1994 dopo una serie di scontri con Eisner, portando con sé competenze e relazioni fondamentali per il futuro creativo di Disney.

Questa perdita si rivelò particolarmente devastante quando Katzenberg fondò DreamWorks insieme a Steven Spielberg e David Geffen, creando un concorrente diretto che avrebbe sottratto quote di mercato significative a Disney nel settore dell’animazione. La situazione peggiorò ulteriormente quando Eisner iniziò a prendere decisioni strategiche sempre più discutibili, come il rifiuto di investire adeguatamente nelle nuove tecnologie digitali e l’opposizione all’acquisizione di Pixar, allora ancora una piccola startup che stava rivoluzionando l’animazione computerizzata.

La crisi del rapporto tra Disney Pixar

Il punto di non ritorno arrivò con la gestione del rapporto con Pixar e Steve Jobs, una relazione che Eisner riuscì a compromettere completamente attraverso una combinazione di arroganza e miopia strategica. Disney aveva un contratto di distribuzione con Pixar che si rivelò estremamente vantaggioso per entrambe le parti, generando successi straordinari come «Toy Story», «Monsters & Co.» e «Alla ricerca di Nemo». Tuttavia, invece di riconoscere il valore strategico di questa partnership e lavorare per consolidarla, Eisner adottò un approccio sempre più aggressivo e svalutativo nei confronti del contributo di Pixar.

Le trattative per il rinnovo del contratto si trasformarono in una battaglia di ego, con Eisner che sottovalutava sistematicamente l’importanza della tecnologia e della creatività di Pixar, considerandola semplicemente un fornitore sostituibile. Questa miopia strategica raggiunse l’apice quando Jobs annunciò pubblicamente che Pixar non avrebbe rinnovato il contratto con Disney, una decisione che minacciava di privare Disney della sua fonte più affidabile di successi al botteghino. La perdita di Pixar non rappresentava solo un problema finanziario immediato, ma simboleggiava il fallimento di Eisner nel comprendere le dinamiche del mercato dell’intrattenimento digitale e la sua incapacità di mantenere relazioni strategiche fondamentali per il futuro dell’azienda.

Le conseguenze della crisi manageriale

Il culmine della crisi arrivò nel 2004, quando Roy Disney, nipote del fondatore e membro del consiglio di amministrazione, lanciò una campagna pubblica per la rimozione di Eisner, culminata nella famosa campagna «Save Disney». Questo evento segnò la fine di un’era e dimostrò come anche le aziende più iconiche possano essere vulnerabili agli errori di una leadership inadeguata, offrendo lezioni preziose sulla necessità di mantenere umiltà, apertura al cambiamento e rispetto per i talenti che contribuiscono al successo aziendale.

Nonostante il percorso tumultuoso, Disney riuscì alla fine a riprendersi. La transizione di leadership che seguì il mandato di Eisner permise all’azienda di rivalutare la sua direzione strategica, investire in nuove tecnologie e infine coltivare relazioni con potenze creative che avrebbero definito la prossima era di successi nell’animazione.

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