In quali casi eredita il convivente?

Ilena D’Errico

17 Luglio 2025 - 22:16

In quali casi eredita il convivente? Ecco cosa riconosce la legge in assenza del matrimonio e quali sono le differenze.

In quali casi eredita il convivente?

Al giorno d’oggi sempre più persone scelgono la convivenza al posto del matrimonio o comunque tendono a rimandarlo. La legge ha fatto grandi passi in avanti nel riconoscimento di questa formazione familiare, ma coniugi e conviventi non sono la stessa cosa dal punto di vista giuridico e hanno diritti (e doveri) differenti. Ciò vale anche riguardo alla successione. I casi in cui ereditano i conviventi sono infatti a dir poco limitati, mentre ai coniugi l’eredità non può essere negata neanche a volerlo.

In quali casi ereditano i conviventi

I conviventi ereditano soltanto in presenza di un testamento in loro favore, poiché il convivente non è considerato erede. Non solo. Il testamento per lasciare l’eredità ai conviventi deve tenere conto dei limiti imposti dalle norme successorie, che garantiscono agli eredi legittimari precise quote di eredità. Ciò significa che alcune persone potrebbero pretendere la propria quota alla morte del testatore, con tanto di restituzione dal convivente, indipendentemente dal testamento. Ciò vale anche in tema di donazioni, motivo per cui nelle situazioni più complesse è preferibile rivolgersi a un notaio o a un avvocato esperto in materia successoria (se proprio non si può o non si vuole ricorrere al matrimonio).

Testamento al convivente, attenzione ai legittimari

È il Codice civile a stabilire il funzionamento dell’eredità, del testamento e la definizione degli eredi, tra i quali i conviventi non rientrano. Fra gli eredi, alcuni sono particolarmente tutelati, in quanto godono di una quota ereditaria (la quota di legittima) che non può essere loro negata, ma nemmeno ridotta. Poi, nella pratica, il testamento può anche ignorare questo principio, ma di fatto gli eredi legittimi hanno la possibilità di agire in giudizio e impugnare il testamento per ottenere quanto gli spetta per legge.

Di conseguenza, lasciare tutta l’eredità al convivente se sono presenti gli eredi legittimari non è una mossa funzionale. È vero che in un primo momento, il convivente avrebbe la possibilità di appropriarsi di tutto, ma in seguito sarà costretto alla restituzione. Ovviamente, gli eredi legittimari non sono obbligati ad agire in giudizio ma possono semplicemente accettare le disposizioni del defunto. Su questo, tuttavia, non si può avere alcuna garanzia. L’eventuale rinuncia all’azione di legittima firmata quando il testatore è ancora invita non è infatti ammessa dalla legge ed è nulla.

Prima di fare testamento bisogna quindi conoscere gli eredi legittimari e anche quali sono le loro rispettive quote. Tutto ciò che è al di fuori di queste porzioni ereditarie forma infatti la quota disponibile, che per definizione può essere gestita dal testatore nel modo in cui preferisce. Ecco che il testamento assume una funzione fondamentale, perché come anticipato il convivente non è designato per legge come un erede. Così, in mancanza di testamento anche la quota disponibile non viene devoluta al convivente, bensì ripartita in modo proporzionale agli eredi.

Bisogna peraltro ricordare che il coniuge separato ma non divorziato gode dei medesimi diritti successori che gli spettavano prima della separazione (a meno che l’addebito fosse a suo carico), anche in presenza di una nuova relazione del defunto con tanto di convivenza.

Il coniuge ha infatti diritto a:

  • Il 50% del patrimonio ereditario se non ci sono figli;
  • 1/3 del patrimonio ereditario in presenza di un figlio (il quale ha diritto all’altro terzo);
  • ¼ del patrimonio ereditario se ci sono più figli (che si devono sparire equamente metà dell’eredità).

Le quote del coniuge e dei figli, così come quelle dei genitori se non vi sono figli, non devono essere lese dal testamento. Quanto ai figli, la legge non distingue più fra legittimi o meno, così che anche i figli avuti dal defunto con il convivente sono eredi legittimari.

Attenzione anche alle donazioni

La disciplina sulla legittima si applica anche alle donazioni effettuate in vita, che dopo la morte possono essere contestate poiché fatte rientrare nell’asse ereditario. Cointestare la casa o il conto corrente, per esempio, possono sembrare un buon modo per garantire al partner almeno la metà dei propri beni, ma non offrono grandi sicurezze in più rispetto al testamento. Ovviamente, se ci si accerta di rispettare le quote di legittima il problema non si pone. Gli eredi legittimari, peraltro, possono agire in giudizio (se vogliono) soltanto entro la misura della propria quota e non oltre.

Un modo funzionale per garantire la tutela al partner convivente è quello di stipulare una polizza vita indicandolo come beneficiario, che salvo casi davvero particolari non viene considerata nel patrimonio ereditario. Le polizze non vengono generalmente considerate contestabili perché le quote dei legittimari vengono soddisfatte con il patrimonio del defunto (ma in caso contrario potrebbero esserci problemi).

Lasciare la casa al convivente

Indipendentemente dall’eredità e dalla proprietà, bisogna considerare che il convivente può comunque vantare alcuni diritti sulla casa in cui abitava insieme al defunto. In particolare, il convivente di fatto ha diritto d’abitazione:

  • per 2 anni se la convivenza è durata per un periodo inferiore;
  • per un periodo pari alla durata della convivenza superiore a 2 anni e massimo per 5 anni;
  • per almeno 3 anni in caso di figli minori o disabili.

Ovviamente, se il convivente è intestatario della casa non si pone alcun problema, semmai nel caso di cointestazione dovrà consentire agli eredi di accedere al restante 50%. A tal proposito, bisogna però distinguere tra la donazione pro quota fatta dal defunto e l’effettiva comproprietà dell’immobile, come anticipato.

Il diritto di abitazione viene in ogni caso a mancare se il convivente si sposa, prende parte a un’unione civile o instaura un’altra convivenza stabile. Per garantire al convivente l’abitazione è possibile stipulare un patto di convivenza con usufrutto, così che gli eredi dovranno necessariamente consentirgli di continuare ad abitare nella casa.

Il convivente registrato in Comune ha comunque diritto alla pensione di reversibilità con convivenza documentata di almeno 5 anni (ma non al Tfr del defunto), mentre ha anche diritto al risarcimento danni nel caso in cui la morte sia stata causata da un reato o un altro fatto illecito.

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