La vittoria di Milei alle elezioni di metà mandato rafforza il suo potere politico, apre a riforme economiche radicali ma aumenta i rischi di tensioni sociali in Argentina.
Una nuova, forte, rottura politica arriva in Argentina. Alle elezioni di metà mandato di domenica 26 ottobre, che hanno riguardato circa metà della Camera dei Deputati e un terzo del Senato, la coalizione del presidente Javier Milei, La Libertad Avanza (LLA), ha ottenuto una vittoria superiore a quanto previsto, rafforzando così in modo significativo la propria posizione a livello parlamentare.
Il risultato assume contorni rilevanti non solo per la politica argentina, ma anche per l’economia, gli scenari internazionali e il modello di governance che Milei intende imprimere al Paese. Analizziamo allora i numeri e le ragioni della vittoria, indagando non solo le conseguenze immediate ma anche le prospettive future dell’Argentina sotto questo nuovo (ma vecchio) assetto politico-economico.
Elezioni Argentina, i numeri e l’analisi del voto
Il decisivo dato elettorale recita che La Libertad Avanza ha raccolto circa il 40,8% dei voti a livello nazionale, sulla base delle proiezioni ufficiali con oltre il 99% delle schede scrutinate. Il principale partito di opposizione, la coalizione peronista Fuerza Patria, si è fermato intorno al 31-32%.
In termini di seggi, il governo ha ampliato la propria presenza. Nei fatti ha ottenuto i 64 seggi alla Camera e 13 al Senato, permettendo di agganciare - insieme ad alleati come il partito PRO di Mauricio Macri - una maggioranza di fatto in grado di difendere i propri decreti e veti presidenziali.
Un altro dato degno di nota sta nell’affluenza, che è stata pari a circa il 67,9%, la più bassa dalla restaurazione della democrazia nel 1983.
Le ragioni della nuova vittoria di Milei
Malgrado una popolarità in calo e una situazione economica delicata, molti elettori hanno preferito non tornare al modello classico peronista, considerato sinonimo di fallimenti economici ricorrenti. Il governo ha effettivamente fatto registrare una forte riduzione dell’inflazione mensile rispetto ai livelli esplosivi precedenti e ha raggiunto un surplus fiscale per la prima volta in 14 anni.
L’intervento degli Stati Uniti, con una linea di swap valutario e un pacchetto di assistenza legato alla performance elettorale del governo Milei, ha giocato un ruolo psicologico e politico. Un messaggio forte nei confronti degli investitori e dell’elettorato.
La soglia di insoddisfazione sociale rimane elevata, ma l’elettorato ha premiato la promessa di “rottura” rispetto a decenni di stagnazione, rigidità del mercato del lavoro e costi elevati dello Stato.
In sostanza, possiamo parlare di un voto di fiducia, non tanto verso un programma pienamente realizzato, ma contro la vecchia guardia e in favore di un cambiamento radicale.
Un impatto immediato
La vittoria parlamentare di Milei ha avuto ripercussioni immediate sul fronte interno ed esterno. I mercati finanziari argentini hanno reagito con favore, con azioni e obbligazioni governative in dollari sono salite dopo l’uscita dei primi dati che parlavano di una vittoria di Milei.
Il risultato rafforza la credibilità politica del governo nel portare avanti riforme economiche che erano state viste con scetticismo fino a poche settimane fa. Questo nuovo “sigillo elettorale” consente così a Milei di accedere più agevolmente a strumenti internazionali di finanziamento e dare un segnale di stabilità ai potenziali investitori esteri.
Quale futuro per l’Argentina?
Con la maggiore forza legislativa conquistata con queste elezioni, il governo potrà usare in modo più efficiente il veto presidenziale e i decreti d’urgenza, ma anche proporre riforme in materia fiscale, del lavoro, previdenziale e del cambio valutario con maggiori probabilità di approvazione. Ciò potrebbe dimostrare che la ristrutturazione economica è politicamente sostenuta, il che può favorire accordi internazionali e flussi di capitale.
Tuttavia, va sottolineato che la traiettoria intrapresa dal governo è assai severa. Si va dai tagli drastici alla spesa pubblica alla riduzione dei sussidi, dall’apertura ai capitali esteri alla deregolamentazione.
Se da un lato queste misure consolidano la fiducia degli investitori, dall’altro generano un costo sociale elevatissimo, con la perdita di posti di lavoro, la chiusura di imprese, un impoverimento dei soggetti più vulnerabili.
La vittoria elettorale pone così l’Argentina davanti a un bivio: sfruttare la finestra di riforme o incorrere in nuove tensioni sociali e politiche?
Gli scenari possibili
La vittoria parlamentare ha consegnato a Milei qualcosa che nessun presidente argentino aveva avuto da più di un decennio: una maggioranza politica coerente con il suo programma economico. Ciò gli offre la possibilità di mettere mano con decisione a un’agenda di trasformazioni strutturali che, finora, si era scontrata con la resistenza del Congresso e dei sindacati.
Scenario 1: un riformismo accelerato
Uno dei pilastri del “liberalismo di guerra” di Milei è la normalizzazione del regime valutario. Da anni, il peso argentino è soggetto a un intricato sistema di controlli e tassi multipli che ha distorto il commercio estero e favorito il mercato nero del dollaro. Il governo punta ora ad aprire gradualmente la strada a un flottaggio controllato, con l’obiettivo di unificare il mercato dei cambi entro la fine del 2026.
Il rischio, tuttavia, è che un’uscita troppo brusca possa far riaffiorare l’inflazione latente. Per evitarlo, il ministero dell’Economia sta lavorando a un sistema di “banda di fluttuazione”, una sorta di compromesso tra libertà di mercato e stabilità macroeconomica. L’obiettivo è duplice: riconquistare la fiducia degli investitori e porre le basi per un mercato dei capitali più trasparente.
Il secondo fronte è quello del lavoro. L’Argentina ha da decenni uno dei mercati occupazionali più rigidi dell’America Latina, con tutele difficilmente sostenibili in un contesto di recessione. Milei e il suo ministro del Lavoro intendono introdurre una “flexicurity” all’argentina, ovvero una maggiore libertà di licenziamento compensata da incentivi all’assunzione e programmi di riqualificazione professionale.
In parallelo, si prepara una revisione del sistema previdenziale, che oggi assorbe circa un terzo della spesa pubblica. L’idea è di passare gradualmente da un modello a ripartizione a uno misto, con una componente contributiva individuale. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre il peso fiscale e rendere il sistema più sostenibile. Ma il rischio politico è alto: toccare pensioni e contratti collettivi significa scontrarsi con la potente Confederación General del Trabajo (CGT), storicamente legata al peronismo.
L’altro asse fondamentale è la semplificazione fiscale e burocratica. Il piano prevede la riduzione di almeno cinque imposte minori, tra cui il tributo sui crediti bancari e alcuni oneri provinciali, e una più ampia liberalizzazione del commercio interno ed estero.
In questa visione, il taglio delle tasse non è solo un incentivo economico ma un atto ideologico: la restituzione al cittadino di parte della ricchezza “sottratta” dallo Stato. Se riuscisse, l’Argentina potrebbe tornare a crescere a tassi del 3–4% annuo nel medio termine, con un rilancio dell’export e un afflusso di capitali esteri. Ma il percorso resta stretto: la riduzione delle entrate fiscali, in un contesto ancora fragile, potrebbe ampliare i deficit se la crescita tardasse a manifestarsi.
Scenario 2: instabilità e backlash sociale
Dietro l’entusiasmo dei mercati e la narrativa del “nuovo inizio”, serpeggia un rischio evidente. L’esperimento libertario potrebbe tradursi in un corto circuito sociale. La storia argentina è costellata di cicli di liberalizzazione seguiti da crisi e ritorni al populismo, e molti analisti temono che la fase Milei possa replicare lo schema.
L’austerità, tanto necessaria per raggiungere l’equilibrio di bilancio, ha già colpito duramente i ceti medi e bassi. Il taglio dei sussidi energetici e dei programmi sociali ha ridotto il reddito reale di milioni di famiglie. In parallelo, la liberalizzazione dei prezzi ha accentuato le disuguaglianze territoriali: Buenos Aires e le grandi città beneficiano della crescita, mentre le province interne, dipendenti dall’intervento statale, si impoveriscono. Secondo osservatori locali, il rischio è quello di una “dualizzazione” del Paese, con un’Argentina produttiva, integrata nel mercato globale, e un’altra marginalizzata, più povera e più arrabbiata.
La combinazione di tagli, disoccupazione e inflazione residua rischia di minare la legittimità del governo proprio nel momento di maggiore forza parlamentare. La bassa affluenza del 68% alle urne è un altro segnale di allarme: Milei ha vinto più per astensione altrui che per consenso attivo. Ciò significa che il sostegno del popolo potrebbe deteriorarsi rapidamente in caso di nuove difficoltà economiche.
Un altro punto debole è la dipendenza dagli Stati Uniti e dai mercati internazionali. Le linee di credito e gli accordi valutari negoziati con Washington sono essenziali per garantire liquidità, ma comportano condizioni stringenti. Qualora la Casa Bianca dovesse modificare la propria strategia o chiedere aggiustamenti più severi, l’Argentina potrebbe trovarsi in una situazione di vulnerabilità simile a quella vissuta negli anni ’90.
Inoltre, la crescente ostilità verso la Cina - partner commerciale chiave per le esportazioni di soia e litio- rischia di indebolire il bilancio estero del Paese proprio nel momento in cui serve un flusso stabile di valuta pregiata.
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