Primo quesito referendum giustizia: testo, cosa significa e conseguenze del voto

Antonella Ciaccia

22/05/2022

25/05/2022 - 08:00

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Il primo quesito chiede di abrogare la legge Severino che prevede una serie di misure per limitare la presenza di persone che hanno commesso determinati reati nelle cariche pubbliche elettive.

Primo quesito referendum giustizia: testo, cosa significa e conseguenze del voto

Domenica 12 giugno, insieme alle elezioni amministrative, si voterà su cinque referendum in tema di giustizia, promossi da Lega e Radicali e ammessi lo scorso 16 febbraio dalla Corte Costituzionale.

Si tratta di referendum abrogativi, che chiedono cioè l’abrogazione totale o parziale di leggi o atti con valore di legge esistenti.

Affinché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità: deve cioè partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto. Affinché la norma oggetto del referendum possa essere abrogata, la maggioranza dei voti validamente espressi deve essere “Sì”.

Ai cittadini saranno consegnate le cinque schede di votazione, delle quali sono stati definiti anche i colori; gli elettori avranno la possibilità di rifiutare una o più schede, per non essere conteggiati in quella determinata consultazione e non influire sul relativo quorum.

L’elettore, infatti, può richiedere specificamente al presidente del seggio elettorale di voler votare solo per alcune e non per tutte le consultazioni in corso (e di voler ricevere, quindi, solo alcune schede) oppure può dichiarare di voler rifiutare tutte le schede.

Nello specifico i cinque quesiti sul tema giustizia riguardano: l’insindacabilità dei politici condannati, la custodia cautelare, la separazione delle carriere dei magistrati, i Consigli giudiziari e l’elezione del Csm.

In questo articolo approfondiamo il tema del primo quesito, ovvero l’abrogazione del decreto legislativo numero 235 del 31 dicembre 2012, meglio conosciuto come “decreto Severino”, dal nome della ministra della Giustizia del governo Monti.

Testo del primo quesito (Scheda rossa)

Il testo del primo quesito referendario è il seguente:

«Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n.190)?»

Cosa significa il primo quesito

Il primo dei quesiti referendari mira ad abrogare totalmente la legge Severino (decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235) che prevede insindacabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali nel caso di condanna per reati gravi.

Il testo stabilisce una serie di limiti. Dal 2013, chi viene condannato in via definitiva per mafia, terrorismo, corruzione e altri gravi reati non può partecipare alle elezioni per il Parlamento europeo, Parlamento Italiano, né quelle regionali e comunali e non può assumere cariche di governo.

Per quanto riguarda, ad esempio, le cariche di deputato, senatore e membro del Parlamento Europeo la condanna che fa scattare l’applicazione della legge è a più di due anni di carcere per reati di allarme sociale (come mafia o terrorismo), per reati contro la pubblica amministrazione (come peculato, corruzione o concussione) e per delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a 4 anni. La condanna definitiva per uno dei reati suddetti determina la decadenza del mandato.

Questa legge ha valore retroattivo e prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione di una carica comunale, regionale e parlamentare se la condanna avviene dopo la nomina del soggetto in questione.

Per coloro i quali si trovino in carica in un ente territoriale, basta anche una condanna in primo grado non definitiva per l’attuazione della sospensione, che può durare per un periodo massimo di 18 mesi, cosa che è stata di recente giudicata legittima dalla Corte costituzionale.

Che succede se voto SÌ

Se vincerà il SÌ a questo referendum anche ai condannati in via definitiva verrà concesso di candidarsi o di continuare il proprio mandato; verrà cancellato l’automatismo della sospensione in caso di condanna non definitiva.

I concetti di incandidabilità e decadenza verranno pertanto abrogati. Come succedeva prima dell’entrata in vigore del decreto Severino, a decidere su eventuali divieti di ricoprire alcune cariche tornerà a essere solo il giudice, chiamato a decidere, caso per caso, e a determinare se, in caso di condanna, sia necessario o meno applicare come pena accessoria anche l’interdizione dai pubblici uffici.

I promotori di questo referendum ritengono che il decreto Severino sia stato più dannoso che utile. Sostengono che i meccanismi della legge, in particolare l’automaticità della sospensione in caso di condanna non definitiva, siano non solo inefficaci, ma anche dannosi per le persone coinvolte.

Nefasto sia per i numerosi amministratori colpiti dalla sospensione in conseguenza di una sentenza di condanna benché non definitiva e magari ribaltata in appello, quanto per il grave danno arrecato alle comunità, che sono state private di quegli amministratori che avevano scelto per essere governate.

Nello specifico quindi si pone attenzione ai casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali, che, una volta condannati, sono stati sospesi, costretti alle dimissioni, o comunque danneggiati, e poi assolti perché risultati innocenti.

Che succede se voto No

Chi vota NO sceglie di mantenere in vigore questa legge e dunque, in caso di condanna saranno incandidabili, ineleggibili con decadenza automatica tutti i parlamentari, i rappresentanti di governo, i consiglieri regionali, i sindaci e gli amministratori locali.

Chi sostiene il NO esprime disappunto per la totalizzante abrogazione della legge e dell’intera disciplina; difatti il quesito in esame chiede di abolire l’intero Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità.

Chi si oppone a questo referendum sa che, a dieci anni dalla sua approvazione, il testo è forse il più odiato dai politici e dagli amministratori locali, però fino a oggi ha retto a ogni urto: nessuna maggioranza successiva al governo Monti l’ha modificata ed è passato indenne anche al vaglio della Corte costituzionale, che si è espressa in due occasioni confermandone la costituzionalità.

Le motivazioni con cui questo quesito referendario viene presentato convogliano sulla necessità di evitare la sospensione automatica di sindaci e amministratori locali condannati con sentenza non definitiva. Ma il quesito non riguarda l’abolizione di questi specifici aspetti, bensì l’abrogazione integrale del decreto Severino, che rappresenta uno dei più ampi interventi normativi di contrasto alla corruzione disposto negli ultimi anni.

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