Il pollice su vale davvero come firma?

Ilena D’Errico

11 Luglio 2023 - 08:42

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Il pollice in su vale come firma, o almeno è quanto stabilito da una recente sentenza canadese. Ma è davvero così? E soprattutto vale anche in Italia?

Il pollice su vale davvero come firma?

Tra i mille usi delle emoticon e i dibattiti generazionali sulla loro interpretazione, arriva una sentenza a dare un significato nuovo a una delle faccine più usate di sempre. Il pollice in su come firma di un contratto, principio che – per quanto sorprendente - è costato caro a un agricoltore canadese, condannato al pagamento di 61.000 dollari di risarcimento. Ma il pollice in su vale davvero come firma? Ecco cosa è successo e che cosa prevede la legge in Italia.

Il pollice in su vale come firma, la vicenda canadese

Chris Achter, agricoltore canadese, ha ricevuto su un servizio di messaggistica un’offerta di contratto da parte di un’azienda, la quale chiedeva la fornitura di 87 tonnellate di cereali. Al termine del lungo messaggio, la fatidica frase “Si prega di confermare”. Ebbene, il signor Achter, forse senza leggere il messaggio completo o peccando di noncuranza, ha risposto con uno stringato pollice in su.

Emoticon che l’azienda ha interpretato come l’accettazione dell’offerta, aspettandosi quindi di ricevere i cerali per la scadenza pattuita, prevista per il mese di novembre. Quando, poi, la consegna non è avvenuta, ha citato in giudizio l’uomo per l’indampimento. Così, il giudice T. J. Keen (della provincia canadese di Saskatchewan) ha condannato l’agricoltore al pagamento di 61.000 dollari a titolo di risarcimento, stabilendo che: “La Corte riconosce che non è un modo tradizionale di firmare, ma in queste circostanze resta valido”.

La sentenza ha sicuramente del valore storico, dato che in nessun caso pochi anni addietro si sarebbe mai pensato a questo tipo di accettazione di un contratto. Tantoché la storia, riportata dall’agenzia britannica Reuters, ha già suscitato accese controversie. Si può davvero firmare un contratto con il pollice in su? Anche l’ordinamento italiano potrebbe in effetti ammettere questa modalità che, come vedremo, non è così insolita come sembrerebbe.

Il pollice in su vale come firma contrattuale in Italia?

Di norma si è abituati a identificare il contratto con un documento, anche piuttosto lungo, corredato da rigide locuzioni, stretti requisiti formali e almeno due firme, talvolte perfino autentificate. Esistono, infatti, contratti che necessitano della forma scritta per la validità, alcuni dei quali richiedono perfino l’atto pubblico. Allo stesso tempo, non tutti i contratti sono così rigidamente regolati.

Anzi, la regola generale propende per la libertà di forma. Questo significa che qualsiasi contratto può essere concluso nella forma preferita dalle parti, purché presenti gli elementi del contratto, con esclusione dei soli patti regolati espressamente dal Codice civile. In particolare, l’articolo 1325 del Codice civile indica i seguenti requisiti del contratto:

  • Accordo fra le parti;
  • causa;
  • oggetto;
  • forma, ma solo quando richiesta dalla legge (ovvero dagli articoli 1350 e 1352 del Codice civile).

I contratti che richiedono una specifica forma, principalmente scritta, sono quindi l’eccezione, sebbene rappresentino accordi di rilievo nella vita di una persona. Fra i contratti di tipo vincolato configurano infatti questioni piuttosto importanti, come:

  • Compravendita di immobili o beni mobili registrati;
  • diritti reali su beni immobili, ad esempio l’usufrutto;
  • locazione superiore a 9 anni (ma indirettamente anche per durate inferiori dato che serve la registrazione);
  • contratti bancari o assicurativi;
  • la procura per un mandato, ad esempio per l’avvocato;
  • la costituzione e la modifica di società o associazioni;
  • contratti di lavoro dipendente/assimilato ed eventuali successive modifiche;
  • contratti con amministrazioni statali o enti pubblici;
  • disposizione di diritti originati dai contratti elencati.

Di fatto, sono moltissimi i contratti che vengono conclusi ogni giorno, talvolta senza troppa consapevolezza. Chi si sognerebbe di preparare un contratto scritto per acquistare il biglietto dei trasporti o mangiare al ristorante? Molto probabilmente nessuno, perché si tratta di contratti liberi, in cui è ammessa anche la forma verbale.

La libertà di forma, peraltro, ammette anche il consenso implicito, quando manifestato tramite un comportamento concludente. Ad esempio, sedendosi al tavolo e ordinando un piatto dal menù o appoggiando la merce sulla cassa del supermercato. Di fatto, anche il pollice in su può rappresentare questo consenso e dunque stipulare validamente un contratto per cui non sia richiesta una forma vincolata.

La questione specifica non è ancora arrivata nelle Corti italiane, anche se il significato dell’emoticon appare quasi universalmente riconosciuto. Si potrebbero obbiettare diverse interpretazioni, ma rappresenterebbero senza dubbio una minoranza. In conclusione, è bene leggere con attenzione i messaggi prima di inviare risposte affermative, anche se tramite emoticon come un pollice in su o il simbolo “ok”.

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