Petrolio, la mappa delle estrazioni sta per cambiare. Ecco cosa aspettarsi

Alessandro Nuzzo

26 Agosto 2025 - 19:42

Nei prossimi anni c’è da attendersi l’ascesa degli Stati Uniti che puntano ad aumentare l’export. Ma in Europa c’è un problema: il greggio USA è diverso.

Petrolio, la mappa delle estrazioni sta per cambiare. Ecco cosa aspettarsi

Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno iniziato a puntare con decisione sui combustibili fossili e le trivellazioni per individuare nuovi giacimenti di petrolio e gas sono aumentate. Washington mira a ridisegnare la mappa delle estrazioni e a diventare leader mondiale nell’export, favorita anche dalla guerra in Ucraina e dal conseguente embargo su gas e petrolio russi. Trovando spiragli concreti per accrescere la propria influenza nel mercato energetico, gli Stati Uniti puntano a diventarne i dominatori.

L’ultima novità è un forum energetico tra la National Oil Corporation, compagnia statale libica, e Usa Freedom First, società petrolifera americana. Un summit con l’obiettivo di ampliare le partnership e incrementare gli investimenti statunitensi nel fossile.

Usa e paesi africani cercano l’ascesa sul mercato mondiale di petrolio

Gli Stati Uniti guardano soprattutto all’Europa, diventandone il primo fornitore di greggio dopo l’uscita dalla dipendenza russa. Già oggi gli USA sono il principale produttore mondiale di petrolio, superando Russia e Arabia Saudita messe insieme. Dal 2019 la produzione è salita da 17,2 a 20,7 milioni di barili al giorno. Nella nuova mappa globale emerge anche l’ascesa dei paesi africani: Nigeria, Algeria ma soprattutto Libia che, con il 24,4% di export, è oggi il primo fornitore dell’Italia.

Le ambizioni di Washington sono chiare: diventare esportatore numero uno in Europa. Dal 2019 l’export americano è cresciuto da 2,3 a 3,3 milioni di barili al giorno. Trump, nell’accordo con l’Ue, ha inserito anche l’acquisto di beni energetici Usa per 750 miliardi in tre anni tra greggio, gas e nucleare. Già lo scorso anno gli Stati Uniti erano divenuti il primo fornitore europeo. A fronte di una domanda di greggio che continua a crescere, nonostante i piani di defossilizzazione, e con una Russia sempre più esclusa, nei prossimi 4-5 anni la mappa dei leader petroliferi potrebbe mutare ancora con gli USA in posizione dominante.

Ma il greggio USA non si adatta alle esigenze europee

Ma per l’Europa c’è un problema. Secondo Gianni Murano, presidente dell’Unem (Unione energie per la mobilità), la qualità del greggio americano differisce da quello russo, africano o mediorientale. «Il petrolio statunitense è più leggero e adatto a produrre benzine e nafta, diverso da quello russo, africano o mediorientale, più “pesanti” e più idonei a una produzione orientata ai gasoli, come nelle raffinerie europee che trattano miscele di grezzi medi e pesanti per sfruttare al massimo la capacità», ha dichiarato. La conseguenza è chiara: il greggio Usa non si adatta alle raffinerie europee e non può essere l’unico approvvigionamento per il mercato Ue.

C’è infine la questione prezzo: i greggi africani e mediorientali sono valutati sul Brent di Londra, quello americano sul Wti di New York. Il Brent è storicamente più costoso, ma il Wti si è avvicinato a quelle quotazioni. «Se l’Europa importasse dagli Usa pagherebbe in media 4-5 dollari al barile in più solo per il trasporto, senza contare l’effetto inflattivo di vendite imposte che renderebbe il Wti ancor più caro rispetto al Brent», ha spiegato Murano al Corriere.

Quanto alla Russia, nonostante le sanzioni, la sua quantità di estrazione e export è rimasta invariata. Ha semplicemente cambiato mercato da rifornire. Oggi vende sopratutto in India, dove dal 3% del 2019 si è saliti al 38% grazie ad un prezzo a 40-50 dollari al barile rispetto ai 70 dei mercati internazionali. Altro importatore è la Cina, che insieme all’India accoglie il 90% del greggio russo. E poi c’è la Turchia, che nonostante faccia parte della Nato, compra greggio russo.

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