Petizione eredità per rivendicare la quota ereditaria: come funziona e a cosa serve

Ilena D’Errico

7 Marzo 2023 - 11:56

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La petizione dell’eredità è necessaria rivendicare la propria quota ereditaria o dei beni che ne fanno parte. Ecco come funziona, a cosa serve e quando può essere utilizzata.

Petizione eredità per rivendicare la quota ereditaria: come funziona e a cosa serve

Per rivendicare le quote ereditarie o comunque i beni del lascito, gli eredi possono esercitare l’azione di petizione ereditaria. Si tratta di una tutela specifica dedicata agli eredi, che consente loro di difendersi nei confronti di chi, invece, non ha alcun diritto sui beni ereditari ma li possiede comunque. Trattandosi di un rimedio molto specifico, perciò, non si adatta a qualsiasi circostanza, ma soltanto a determinate condizioni. Vediamo quindi come funziona la petizione ereditaria e quando serve.

Cos’è la petizione ereditaria?

La petizione ereditaria è un’azione disciplinata dall’articolo 533 del Codice civile per adempiere a due funzioni:

  • Il riconoscimento del titolo di erede.
  • La condanna per il recupero dei beni.

La funzionalità della petizione ereditaria è perciò molto stringente, in quanto può essere esercitata esclusivamente da un erede e soltanto nei confronti di un soggetto che possiede dei beni ereditari senza alcun titolo, oppure proclamandosi erede. Ne consegue che la petizione ereditaria non può essere utilizzata:

  • Contro altri eredi.
  • Contro chi è detentore del bene ma senza esercitare possesso.

Per questo genere di situazioni, infatti, sono previsti altri rimedi specifici. La petizione ereditaria risulta, però, molto utile nel caso in cui l’erede non riuscisse ad appropriarsi della quota ereditaria, che sia legittima o testamentaria. Si pensi al caso in cui la casa ereditata è occupata da un altro soggetto che non è coerede, oppure sostiene di esserlo senza che questo diritto gli sia riconosciuto dalla legge, magari in virtù di una presunta disposizione che il defunto non ha inserito nel testamento. Si parla in questi casi di legittimato passivo, indicando con questo termine proprio chi possiede dei beni ereditari senza alcun titolo effettivo.

Oltre ai convenuti, anche l’oggetto della petizione deve essere strettamente pertinente. La petizione ereditaria, infatti, può essere esercitata esclusivamente per rivendicare una quota ereditaria o i beni che fanno parte della successione.

Differenza tra possesso e detenzione

Come anticipato, l’azione di petizione dell’eredità serve anche nel caso in cui la casa ereditata sia posseduta, senza alcun titolo giustificativo, da persone diverse rispetto agli eredi. Allo stesso tempo, questa azione non può essere mossa nei confronti dell’inquilino che abita l’immobile pagando il canone, quindi riconoscendo di non essere il proprietario. Il motivo è che la petizione è utilizzabile soltanto contro i possessori, mentre per i detentori sono previste soluzioni differenti a seconda dei casi.

È perciò opportuna una distinzione fra possesso e detenzione. Il possesso, in particolare, si può definire come la disponibilità materiale di un bene da parte di una persona che si comporta in tutto e per tutto come proprietario. Ciò è facilmente desumibile dalle azioni compiute a riguardo e dalla gestione del bene stesso. Al contrario, la detenzione si configura quando un soggetto che ha piena disponibilità del bene riconosce la proprietà altrui, anche implicitamente attraverso il pagamento del canone o la richiesta del permesso per determinate iniziative. Con la petizione ereditaria è possibile agire soltanto contro i possessori, per ottenere la restituzione di quanto spettante.

Come funziona la petizione ereditaria

Ai fini della petizione dell’eredità, l’erede deve promuovere l’azione tramite il suo avvocato, senza limiti di tempo purché non ci sia stata usucapione, e dimostrare semplicemente i requisiti fondamentali:

  • La sua condizione di erede.
  • L’appartenenza del bene o della quota alla successione.

In fase di giudizio, il convenuto, privo di diritti sui beni in questione, sarà condannato dal giudice alla restituzione completa all’erede. In questa fase, la legge prevede un diverso trattamento a seconda della presenza o meno della buona fede. Chi ha agito in buona fede ha ritenuto di poter disporre dei beni ereditari per un errore scusabile (che non dipende da colpa grave) al momento di inizio del possesso. Esistono, cioè, delle ragioni che giustificano il fraintendimento.

Il convenuto in buona fede dovrà, ad esempio, restituire i frutti maturati dall’inizio della causa. Al contrario, il possessore in mala fede, che era a conoscenza fin dall’inizio di non poter vantare alcun diritto sui beni ereditari è tenuto a restituire i frutti maturati in tutto il periodo di possesso, o comunque il loro valore in caso di frutti naturali periti. I due tipi di possesso comportano anche un calcolo differente dell’indennità che spetta al possessore per aver apportato dei miglioramenti al bene.

Il possessore dovrà comunque ricevere il rimborso delle riparazioni straordinarie e – nel caso in cui debba restituire i frutti – anche per quelle ordinarie. Nel caso in cui sul bene ereditato siano state fatte delle aggiunte, l’erede può scegliere se corrispondere al possessore l’aumento di valore oppure il costo per i materiali e la manodopera. Quando il possesso è avvenuto in mala fede, però, l’erede può anche chiedere la rimozione a spese del possessore.

Infine, se uno o più beni ereditari sono stati venduti dal possessore in buona fede, l’erede avrà diritto esclusivamente al prezzo pagato dall’acquirente. Se, invece, la vendita è stata effettuata dal possessore in mala fede, quest’ultimo dovrà corrispondere all’erede il valore effettivo del bene venduto e un risarcimento danni.

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