Trump firma un ordine per abbassare i prezzi dei farmaci, ma il settore pharma vola. Rally inaspettato tra GLP-1, PBM nel mirino e strategie negoziali che spiazzano Wall Street.
Donald Trump firma un ordine esecutivo il cui obiettivo è quello di ridurre drasticamente i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti e il settore farmaceutico ha messo a segno uno dei rally più sorprendenti dell’anno. Basti guardare ai numeri: Merck +5,8%, Pfizer +3,6%, Gilead +7,1%, Eli Lilly +2,9%.
Teoricamente, si potrebbe parlare di uno dei movimenti più incoerenti degli ultimi mesi. Trump mina la redditività di queste aziende e il mercato reagisce comprando le azioni? Qualcosa non torna. E pensare che di anomalie di mercato ne abbiamo viste parecchie, ma questa si posizionerebbe sicuramente sul podio.
Cosa spinge il settore pharma a volare proprio quando, teoricamente, si trova nel mirino della regolamentazione più aggressiva?
L’ordine esecutivo di Trump: una minaccia solo apparente?
L’ordine esecutivo firmato da Trump ha un obiettivo preciso: allineare i prezzi dei farmaci statunitensi a quelli pagati negli altri Paesi sviluppati. Secondo le parole dell’ex presidente, alcuni farmaci costano anche dieci volte di più negli Stati Uniti rispetto all’Europa. E Trump è andato direttamente sul pratico: un farmaco dimagrante che costa $88 a Londra, contro i $1.300 richiesti nel mercato americano. Infatti, il dibattito si è acceso intorno ai farmaci GLP-1 per la perdita di peso, categoria in forte crescita e diventata il nuovo driver di utili per colossi come Novo Nordisk (NVO) e Eli Lilly (LLY).
I nomi più esposti sono:
- Wegovy (semaglutide) di Novo Nordisk
- Zepbound (tirzepatide) di Eli Lilly
L’iniziativa prevede un periodo di 30 giorni entro cui le case farmaceutiche dovrebbero dimostrare «progresso significativo» nell’abbassamento dei prezzi. In caso contrario, scatterebbero misure correttive aggiuntive: dalla possibilità di importare farmaci, fino all’introduzione di dazi per penalizzare i prodotti che non si allineano ai prezzi internazionali. In alcuni casi, si parla di una riduzione dei prezzi compresa tra il 59% e il 90%.
Apparentemente, sembrerebbe un attacco diretto ai margini di profitto dell’intera industria farmaceutica. Eppure, il mercato ha letto l’iniziativa in modo radicalmente diverso.
Pharma in rally, ma i bersagli veri sono altri
La chiave di lettura più condivisa da analisti e operatori è che, anche questa volta, Trump abbia usato la sua strategia negoziale più classica: alzare bruscamente la posta, creare paura, e poi presentare una soluzione che, pur non essendo indolore, viene percepita come meno dannosa rispetto alle aspettative iniziali. Il «minor danno», in questo senso, riguarda i destinatari di questa proceduta: i veri colpiti dall’ordine esecutivo non sembrano essere i produttori di farmaci, bensì gli intermediari, in particolare i Pharmacy Benefit Managers (PBM).
Aziende come CVS Health, che possiedono PBM interni, sono infatti crollate in Borsa, a testimonianza del fatto che l’attenzione della Casa Bianca non è rivolta ai produttori, ma a chi, secondo Trump, gonfia i prezzi senza produrre valore reale. Le big pharma, invece, si sono trovate improvvisamente rassicurate. Il messaggio che è passato è stato: “non vi distruggeremo i margini, vogliamo solo colpire chi li sfrutta troppo”.
Perché il mercato ha premiato le pharma?
Molti investitori hanno compreso che il rischio regolatorio esiste, ma non è così immediato né così radicale come annunciato in prima battuta. L’intervento del governo, per ora, riguarda principalmente le fasce di popolazione coperte da Medicare e Medicaid, e solo in parte coinvolge le assicurazioni private.
L’amministrazione Trump ha anche chiarito che non è intenzionata a danneggiare i profitti delle aziende farmaceutiche, anzi: queste potrebbero beneficiare di un sistema più trasparente ed efficiente, se il ruolo degli intermediari venisse ridimensionato.
La reazione positiva del mercato è stata dunque frutto di una revisione delle aspettative: da attacco frontale a compromesso gestibile. E, per i trader più attenti, anche una dimostrazione della solita narrativa trumpiana che gioca sulla manipolazione del rischio percepito.
Healthcare sotto pressione, ma il vero impatto è sfumato
È vero che nelle ore successive all’annuncio si è assistito a un calo generalizzato dei titoli healthcare, compresi quelli delle aziende farmaceutiche. Ma si è trattato in gran parte di un sell-off dettato dal sentiment e non da una reale ricalibrazione dei fondamentali.
Le valutazioni di mercato, in particolare i multipli P/E e P/FCF, si erano già compresse nei mesi precedenti, anche a causa del dibattito sui prezzi dei farmaci GLP-1 e della crescente attenzione regolatoria. Tuttavia, l’ordine esecutivo di Trump non sembra cambiare in modo sostanziale l’outlook per il settore.
Nel lungo termine, potrebbe addirittura creare opportunità per le aziende più efficienti e meno dipendenti dagli intermediari.
Una crisi apparente?
L’episodio ci ricorda ancora una volta come la politica possa influenzare in modo marcato il pricing degli asset finanziari, soprattutto nei settori regolamentati. Tuttavia, non sempre le reazioni iniziali sono corrette o durature. Anzi, spesso sono proprio le narrative esagerate a creare occasioni.
Nel caso dell’ordine esecutivo di Trump, il mercato ha inizialmente temuto una tempesta perfetta per l’industria farmaceutica. Ma già nel giro di 24 ore, la realtà si è mostrata diversa: la misura colpisce gli intermediari, non i produttori. E i produttori, consapevoli del loro potere contrattuale, sono tornati a salire.
E così, paradossalmente, da un ordine esecutivo che prometteva una rivoluzione nei prezzi dei farmaci è nato uno dei rimbalzi più forti dell’anno per il settore pharma. Una lezione importante su quanto sia fondamentale distinguere tra rischio percepito e rischio reale.
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