Le previsioni di prezzi a 40 o 50 dollari al barile si scontrano con un contesto dove la geopolitica, le strategie di accumulo e le decisioni dei produttori agiscono da contrappesi strutturali.
Da mesi, quasi all’unisono, i principali centri di analisi e previsione annunciano l’arrivo di un eccesso di greggio destinato a spingere i prezzi verso un crollo. La narrativa dominante insiste sul rallentamento economico globale, sull’avanzata delle energie alternative e sulla riduzione della dipendenza dagli idrocarburi. Tuttavia, i dati mostrano una realtà diversa: le quotazioni rimangono ferme, oscillando in una fascia relativamente stabile, senza i tracolli prospettati.
Il primo nodo riguarda le sanzioni energetiche alla Russia, introdotte da Unione Europea e Stati Uniti per limitare i flussi finanziari verso Mosca. Essendo la Russia il secondo produttore mondiale, ogni riduzione strutturale delle sue esportazioni incide direttamente sull’equilibrio domanda-offerta. Il mercato, pur consapevole delle ritorsioni e delle strategie di aggiramento tramite flotte ombra, sconta comunque il rischio geopolitico e incorpora un premio di prezzo che non può essere ignorato.
La Cina rappresenta il secondo fattore cruciale. Nonostante i segnali di rallentamento economico, Pechino ha incrementato le proprie importazioni di greggio, spesso destinate più a stoccaggi strategici che a soddisfare la domanda immediata di carburanti. Questo comportamento difensivo non solo sostiene i prezzi internazionali, ma indica anche che i dati di consumo non raccontano l’intera storia: parte della domanda è “potenziale”, incorporata nelle riserve che potranno essere immesse sul mercato solo in futuro. [...]
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