Perché il governo vuole dare il via a nuove trivellazioni

Vincenzo Caccioppoli

8 Novembre 2022 - 11:06

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Dalla ripresa delle trivellazioni nel Mar Adriatico alla ricerca di nuovi giacimenti, ecco come il governo Meloni vuole limitare l’esposizione italiana all’export di gas.

Perché il governo vuole dare il via a nuove trivellazioni

L’operato del nuovo governo a guida Giorgia Meloni si focalizza ora, inevitabilmente, sul metter mano alla gravissima emergenza del caro bollette. Nell’ultimo Cdm, il governo ha annunciato un piano di interventi pubblici nell’ordine di uno stanziamento immediato di 15 miliardi di euro (che dovrebbero diventare poi 30) da destinare per aiutare famiglie e imprese. Ma oltre a questi primi interventi di aiuto e sostegno a chi non riesce a stare al passo con i folli aumenti delle bollette energetiche, il governo sembra voler anche agire alla radice del problema.

Il nostro paese, inutile negarlo, al di là dell’emergenza attuale, paga da anni i suoi colpevoli ritardi nel dotarsi di una infrastruttura energetica che possa garantire quella autonomia diventata ormai improrogabile. E tutto ciò, come ha osservato il ministro per le imprese e il made in Italy, Adolfo Urso nei giorni scorsi, non può non partire dalla ripresa dello sfruttamento dei ricchi giacimenti di gas che si trovano nel mar Adriatico, prima che questi vengano prosciugati da paesi limitrofi. Nella vicina Croazia, tanto per fare un esempio, la compagnia petrolifera statale Ina a giugno scorso ha annunciato un investimento di 260 milioni di euro per operare nuove trivellazioni nell’Adriatico, potenzialmente ricco di giacimenti di gas ancora inesplorati.

Ciò è stato possibile anche per la decisione del nostro paese di rinunciare, da più di vent’anni, a effettuare nuove trivellazioni per ragioni ambientaliste e spesso ideologiche, che hanno, come già accaduto con i referendum sul nucleare del 1987, determinato quella dipendenza energetica da altri paesi, che da tempo stiamo amaramente pagando in termini economici e di competitività del nostro tessuto produttivo, e che ora con lo scoppio del conflitto è diventata una vera e propria emergenza nazionale.

La Croazia, a cui non pare vero di poter sfruttare indisturbata questo vantaggio competitivo (così come per il nucleare, che ha continuato a proliferare in paesi confinanti come Svizzera e Francia, a pochi chilometri dai nostri confini), dovrebbe aumentare di oltre il 20% l’attuale produzione di gas naturale entro il 2024. Il paese punta con decisione soprattutto sui giacimenti dell’Adriatico settentrionale, dove non ha concorrenza, visto che in Italia le attività estrattive in quest’area sono vietate in quanto considerata zona a rischio subsidenza.

Proprio nell’Alto Adriatico ci sarebbe, secondo quelli che sono gli ultimi studi e le ultime trivellazioni effettuate, la riserva di gas naturale più consistente d’Italia. Secondo i calcoli di Nomisma Energia si tratta di una cifra che si avvicina a 40 miliardi di metri cubi, situati a circa 40 chilometri al largo di Venezia, ma secondo altri le riserve di gas naturale nell’Adriatico potrebbero arrivare anche a 90 miliardi di metri cubi.

È molto difficile effettuare una stima precisa, considerando che l’Italia ha iniziato a bloccare l’attività di estrazione e ricerca (che adesso chiaramente è molto più avanzata rispetto a trent’anni fa) in Adriatico dalla metà degli anni ‘90 e la produzione nazionale è passata dai 20,6 miliardi di metri cubi nel 1994 ai 4,4 del 2020, mentre i consumi hanno continuato a salire. Basti pensare che al largo del comune di Goro, in provincia di Ferrara, dove il governo vorrebbe far partire le prime concessioni per trivellare, sarebbero presenti almeno dai 50 ai 70 miliardi di metri cubi di gas in vari giacimenti già scoperti e mappati negli anni ‘90 dall’allora Agip, ma mai messi in produzione. Negli ultimi anni, dei 70 miliardi di metri cubi di gas consumati nel nostro paese, solo 3,3 miliardi provengono da produzione nazionale, mentre il resto viene importato a un costo medio di 50/70 centesimi al metro cubo, contro i 5 del costo a metro cubo dell’estrazione di metano (circa 10 volte di meno).

«In tutta Italia potremmo produrre 10 miliardi di metri cubi di gas in più ogni anno, 10 miliardi di sviluppo italiano che lasciamo sottoterra, di mancata occupazione, di mancata tassazione», ha detto nei giorni scorsi Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, uno tra i massimi esperti di risorse energetiche del nostro paese. «Per rispondere all’emergenza dovuta all’invasione dell’Ucraina è sicuramente tardi. In ogni caso, anche se Putin non avesse ordinato l’invasione, sarebbe stato opportuno diminuire la dipendenza dalla Russia. L’unico modo per farlo in tempi ragionevoli è attraverso l’aumento della produzione nazionale”.

Il ministro Urso, uno dei più attivi su questo tema, che già aveva trattato la questione nei mesi scorsi in qualità di presidente del Copasir, ha detto senza mezzi termini che l’attività estrattiva nel nostro paese deve riprendere per consentire quella indipendenza energetica necessaria alla luce dei nuovi scenari internazionali che si stanno aprendo di fronte a noi. E per fare questo, sempre secondo gli studi di Nomisma Energia, non occorrerebbero anni: solo dai lidi ferraresi alle Marche si potrebbero rimettere in moto circa 50 piattaforme in grado di fornire circa 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno. A rallentare questa attività è stato il cosiddetto PiTESAI (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee), avviato dal governo Conte I nel 2019 e approvato definitivamente a febbraio 2022 dal governo Draghi, che limitava qualsiasi attività di trivellazione del sottosuolo. Il governo Meloni ha intenzione di modificare questo piano e proseguire senza ulteriori rallentamenti verso un nuovo piano energetico che, come ribadito dal ministro Urso, non deve per forza di cose partire da nuove trivellazioni, lunghe e costose, ma da quelle già effettuate e bloccate in corso d’opera.

Urso sottolinea che averci rinunciato, negli anni, ha inevitabilmente aumentato la dipendenza dal gas russo, che ha sostituito la minore estrazione in Adriatico. Il ministro poi sostiene come "poi si può trivellare di più, nel bacino comune con la Croazia, per ricavare almeno altri 70 miliardi di metri cubi di gas, forse di più perché la tecnologia non è quella di 20 anni fa, a cui risalgono gli ultimi studi nell’area”. D’altra parte, forse pochi sanno che l’Italia, dopo la Norvegia, sarebbe il paese che ha nel sottosuolo i più ricchi giacimenti di gas di tutta Europa. Ecco allora che di fronte a una situazione emergenziale come quella attuale, forse bisogna cominciare a rimodulare il passaggio a quella transizione ecologica, sì necessaria, ma che forse va ripensata per non rischiare che i costi per imprese e famiglie superino i benefici.

“Bisogna essere consapevoli che di fronte alla emergenza energetica, è necessario rendere la transizione ecologica compatibile con le pesanti ricadute sul tessuto produttivo”, ha detto ancora Urso in una recente intervista a La Stampa.

Per il raddoppio della produzione di gas metano, secondo alcuni esperti, servirebbero almeno due anni, anche perché il nostro paese ha smesso da anni di investire nella ricerca di nuove risorse energetiche, affidandosi troppo semplicisticamente forse alle energie rinnovabili, che coprono attualmente poco più del 20% del fabbisogno energetico del nostro paese. Senza contare che anche sulle energie rinnovabili l’Italia deve fare fronte alla eccessiva lentezza dei processi autorizzativi che richiedono spesso dai 3 ai 5 anni.

Ecco allora che dopo una interdizione alle nuove trivellazioni nel mar Adriatico che dura da oltre trent’anni, ora il governo - dopo aver fatto ripartire le piattaforme già esistenti, che potrebbero raddoppiare in breve tempo la fornitura di gas del nostro paese - in futuro potrebbe avviare anche a nuove trivellazioni per esplorare i ricchi giacimenti che dovrebbero essere presenti al largo delle coste italiane.

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