Pensioni, in Italia si lavora meno anni rispetto al resto d’Europa

Simone Micocci

4 Novembre 2025 - 09:50

Pensioni, sai che in Italia lavori molti meno anni rispetto agli altri Paesi europei? Eppure smetti di farlo più tardi.

Pensioni, in Italia si lavora meno anni rispetto al resto d’Europa

Fa discutere l’aumento dell’età pensionabile che scatterà dal 2027 e che comporterà un incremento complessivo, nel biennio, di 3 mesi. Un cambiamento che porterà l’Italia in cima alle classifiche dei Paesi in cui si va più tardi in pensione.

Ma attenzione, perché allo stesso tempo il nostro Paese è anche tra quelli in cui si lavora per meno anni. “Com’è possibile”, direte voi? Eppure è davvero così: un dato che mette in luce tutti i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano.

Non bisogna pensare, infatti, che il tempo trascorso a lavorare sia proporzionale alla data di pensionamento: certamente questo fattore incide, ma ce ne sono molti altri che determinano la durata effettiva della vita lavorativa. Quello che può sembrare un vero e proprio paradosso poggia in realtà su dati solidi, che dimostrano come in Italia il vero problema sia il lavoro e non le pensioni. Perché se davvero riuscissimo ad allungare la durata della vita lavorativa, ci sarebbe anche la possibilità, grazie ai contributi versati, di andare in pensione prima e con un assegno più alto: traguardi che oggi restano accessibili a pochi.

In Italia si va in pensione più tardi

Oggi in Italia si smette di lavorare, ricorrendo all’opzione di vecchiaia, all’età di 67 anni. Un limite tra i più alti d’Europa, anche se, considerando la totalità dei pensionamenti - comprese le uscite anticipate - l’età media effettiva risulta molto più bassa, attestandosi intorno ai 65 anni.

Tuttavia, anche questa età media è destinata ad aumentare: già nel 2028 tutte le opzioni di pensionamento saranno soggette a un incremento di 3 mesi, mentre le stime indicano che tra il 2050 e il 2067 si passerà progressivamente da 69 a 70 anni.

La causa è l’adeguamento alla speranza di vita: secondo la normativa vigente, se in Italia si vive più a lungo, è giusto che parte di questo tempo aggiuntivo venga trascorso al lavoro, così da non gravare eccessivamente sulle casse dell’Inps che già oggi devono affrontare un problema strutturale. Nei prossimi anni, infatti, il rapporto tra lavoratori e pensionati, fondamentale per la sostenibilità del sistema, tenderà a ridursi sempre di più. Ciò significa che le entrate contributive rischiano di non essere sufficienti a coprire la spesa pensionistica, costringendo lo Stato a intervenire con maggiori risorse per garantire il pagamento delle pensioni.

Bloccare il meccanismo di adeguamento automatico dell’età pensionabile non è dunque possibile, se non intervenendo sull’altro grande fattore in gioco: l’aumento delle entrate contributive. Un obiettivo che potrebbe essere raggiunto in diversi modi, anche se il calo demografico rappresenta, in tal senso, un ostacolo significativo.

In Italia si lavora per meno anni

Come anticipato, il paradosso è che in Italia si va in pensione più tardi ma si lavora per meno anni. Un dato che evidenzia le profonde criticità del nostro mercato del lavoro, dove in un arco temporale potenzialmente più ampio non si riesce a mantenere un livello di occupazione stabile e continuativo paragonabile a quello degli altri Paesi europei.

Secondo i dati Eurostat, la “durata attesa della vita lavorativa” - intesa come il numero di anni che un quindicenne può aspettarsi di trascorrere nel mercato del lavoro, da occupato o in cerca di occupazione - in Europa è cresciuta negli ultimi dieci anni da 34,9 a 37,2 anni. L’Italia ha seguito questa tendenza, ma partendo da una posizione molto più debole: la vita lavorativa media si è allungata di soli 2,1 anni, raggiungendo nel 2024 appena 32,8 anni.

Un risultato che colloca il nostro Paese al penultimo posto nell’Unione europea, davanti soltanto alla Romania (32,7 anni). All’estremo opposto, i Paesi del Nord Europa, come Svezia, Danimarca e Paesi Bassi, superano spesso i 40 anni di attività lavorativa, mentre Malta ha registrato la crescita più marcata dell’ultimo decennio (pari a 5,2 anni). A rendere ancora più evidente il ritardo italiano è il divario di genere. In Italia, le donne lavorano in media 28,2 anni, nove in meno degli uomini: è la differenza più ampia dell’intera Unione europea. Nei Paesi baltici, al contrario, la durata della carriera femminile è ormai in linea, se non superiore, a quella maschile.

Come spiegano gli esperti, questo paradosso italiano deriva da una combinazione di fattori strutturali e culturali. In primo luogo, l’età di ingresso nel mondo del lavoro è tra le più alte in Europa. I percorsi di istruzione e formazione sono più lunghi e spesso discontinui; l’ingresso nel mercato del lavoro avviene con ritardi medi di diversi anni rispetto alla media europea, complici contratti a termine, tirocini e lunghi periodi di inattività tra un impiego e l’altro. Anche la diffusione del lavoro nero, ancora molto presente in alcune aree del Paese, incide negativamente: si stima che l’economia sommersa coinvolga oltre tre milioni di persone e valga circa il 9% del Pil, riducendo la durata ufficiale delle carriere e la capacità contributiva complessiva.

Possiamo quindi sostenere che l’Italia si trova oggi in una posizione anomala: ha un’età pensionabile tra le più alte d’Europa, ma una vita lavorativa effettiva tra le più brevi. Una contraddizione che riflette non tanto un problema del sistema previdenziale, quanto le fragilità del mercato del lavoro, ancora segnato da ingresso tardivo, precarietà diffusa, scarsa partecipazione femminile e persistente lavoro sommerso. Finché queste condizioni non cambieranno, l’obiettivo di rendere sostenibile il sistema pensionistico resterà alquanto irrealizzabile.

Iscriviti a Money.it

Money Awards Logo

Le votazioni ai Money Awards sono aperte!

Registrati su Money.it e vota la tua azienda preferita ai People's Money Awards 2025!

Vota ora