“In pensione con Quota 40, annulliamo multe ai non vaccinati e sanzioni alla Russia. Meloni? Sbaglia sul Reddito”: l’intervista a Gianluigi Paragone

Giacomo Andreoli

07/09/2022

07/09/2022 - 15:49

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Italia al voto, le proposte economiche di Italexit in vista delle elezioni politiche. Reddito di cittadinanza, pensioni, sanzioni, bollette ed euro: l’intervista di Money.it a Gianluigi Paragone.

“In pensione con Quota 40, annulliamo multe ai non vaccinati e sanzioni alla Russia. Meloni? Sbaglia sul Reddito”: l’intervista a Gianluigi Paragone

Abbassare il costo delle bollette, aumentare i salari, abolire o rendere svantaggiosi i contratti precari, modificare il Reddito di cittadinanza, introdurre Quota 40 e uscire dall’euro. Sono queste le proposte economiche lanciate in vista delle elezioni politiche dal leader di Italexit, Gianluigi Paragone, intervistato da Money.it.

Secondo Paragone la fuoriuscita dalla moneta unica ci garantirebbe “il ritorno alla sovranità monetaria”, attuando “politiche espansive e socialmente significative” e contrastando il “ricatto perenne dello spread”. Quindi boccia il salario minimo per legge e attacca sulla gestione della pandemia del governo Draghi, proponendo la rottamazione delle cartelle esattoriali “per chi ha sofferto della gestione della crisi Covid” e l’annullamento della multa da 100 euro per gli over 50 che non si sono vaccinati. Quanto alle coperture il leader di Italexit cita l’aumento della tassa sugli extraprofitti e i “vantaggi economici” per le casse dello Stato dell’uscita dall’euro e della ri-nazionalizzazione di “asset” come Eni.

Qual è il primo intervento, quello che ritiene prioritario, che inserirebbe nella prossima legge di Bilancio?

Al posto di Draghi avrei messo in previsione lo scostamento di bilancio immediato non appena si è reso chiaro che, a causa della crisi energetica, stava arrivando una tempesta terribile per cittadini e imprese. Ed è questa, vista la gravità del momento, la prima cosa sulla quale interverrei. Gli aumenti insostenibili del prezzo del gas e dell’elettricità sono un dramma per famiglie e aziende. L’Eni, una partecipata di Stato, in sei mesi ha realizzato profitti per 7 miliardi. È immorale che una partecipata faccia questi utili sulle sofferenze degli italiani. Il mio primo intervento sarebbe quindi di redistribuire la maggior parte di quegli utili per calmierare i prezzi dell’energia. In ogni caso, una soluzione per mettere fine al problema ci sarebbe: cambiare politiche, anziché proporre soluzioni ridicole. Pensare di risolvere la situazione riducendo l’uso di riscaldamenti e condizionatori (come è previsto dal piano Cingolani n.d.r.) è grottesco. Invece le soluzioni serie ci sono: tassare i profitti delle aziende che lucrano sulla speculazione, togliere le sanzioni alla Russia che danneggiano solo noi europei, stipulare accordi calmierati con la Russia e con gli altri Paesi produttori al di fuori della bolla speculativa dei mercati. Draghi e il suo governo però non hanno interesse a salvare cittadini e imprese. Anzi, sembra che il disegno generale sia esattamente il contrario.

Come Italexit quanti miliardi mettereste per il taglio del cuneo fiscale necessario ad aumentare gli stipendi? I soldi andrebbero impiegati tutti a favore dei lavoratori o anche per le imprese?

Per quantificare in numeri direi che ci vorrebbero approfonditi studi da parte dei tecnici del settore, che nel nostro caso sceglieremmo fra le persone di nostra fiducia e, quindi, saprebbero certamente dare le indicazioni più opportune. Quello che è certo è che le imprese non possono sopportare un simile carico fiscale e i lavoratori non possono continuare a subire la deflazione di salari, che già oggi non sono più sufficienti alla sopravvivenza. Sono due aspetti che vanno di pari passo, quindi sicuramente un intervento di questo genere andrebbe a favorire le imprese e ad aiutare i lavoratori. Che poi, sia chiaro, o interveniamo in questo senso o tutta la nostra impalcatura industriale, commerciale e sociale si schianterà a causa di disoccupazione, chiusure, acquisizioni di aziende all’estero. Senza domanda interna una nazione non può sopravvivere. E con salari che diminuiscono invece di crescere e imprese che chiudono, mentre il costo della vita sale vertiginosamente, la domanda intera finisce per essere intaccata pesantemente. Le lunghe file che anche a Milano, città considerata ricca, si vedono al di fuori delle associazioni di carità per avere un po’ di cibo sono impressionanti e testimoniano una situazione che ha dell’incredibile.

Rimanendo sul tema lavoro: siete favorevoli o contrari al salario minimo per legge? E il Reddito di cittadinanza andrebbe modificato? Se sì, come?

Quello sul salario minimo è un dibattito ipocrita. È la Costituzione a dire che il lavoratore dev’essere pagato e non sfruttato, nell’articolo 36. Oggi il lavoro è diventato occupazione, la retribuzione paga e il lavoratore un soggetto interscambiabile. La discussione sul salario minimo è impregnata di propaganda: tutti, dai partiti ai sindacati, gettano fumo negli occhi alla vigilia delle elezioni politiche, anticipando un tempo di grave crisi occupazionale. Nelle famiglie italiane c’è un conflitto generazionale con genitori e figli a contendersi un contratto di lavoro: i figli schiacciati da precariato, stage gratuiti e contratti veri che non arrivano mai; i genitori travolti dalle ristrutturazioni aziendali, che hanno esposto i cinquantenni all’incubo di perdere il lavoro e non ritrovarlo più. Il lavoro è un ambito in cui i riformisti agiscono a danno dei lavoratori: meno diritti, retribuzioni da capogiro per manager e tagliatori di teste. Il futuro del lavoro non è arrivare adesso ad applicare un salario minimo, che in Costituzione è già sancito, ma vincere la sfida della piena occupazione, che per me è assolutamente fondamentale. Il resto è ipocrisia. Sul reddito di cittadinanza, posso dire che in un periodo di gravissima crisi sociale ed economica come linea di principio va difeso, ma che va completamente ripensato come un trampolino all’ingresso o al ritorno nel mondo del lavoro. Non mi piace la politica che sta facendo la Meloni, incentrata sull’attacco alla povertà e al reddito come se fosse la causa dei nostri mali. La trovo anzi preoccupante e miope, fatta solo per raccattare qualche voto, ma senza lungimiranza. Italexit non lascia indietro nessuno e ha a cuore le difficoltà di ogni singolo cittadino. Il problema è che quello che doveva essere un provvedimento d’emergenza è diventato troppo spesso una sorta di assegno di sussistenza che non porta da nessuna parte e rischia di favorire i disonesti a a scapito di chi ha davvero bisogno. Anche perché non ci sono i controlli che invece andrebbero effettuati a tappeto.

Proponente l’uscita dall’Euro per riacquistare la sovranità monetaria: rischiamo spread e costo del debito alle stelle, crisi del sistema bancario e svalutazione competitiva per le imprese, con annesso crollo dei consumi interni e recessione. Come evitare tutto ciò?

Lo spread è un problema che è cominciato a sussistere con il blocco dell’oscillazione monetaria ai tempi dello Sme e poi con l’Euro. Prima di allora non si era mai sentito parlare di possibile fallimento degli Stati. Uno Stato come l’Italia, con un sottostante importante sul piano industriale, turistico, artistico, ambientale e agricolo ha una struttura forte che, in caso di ritorno alla sovranità monetaria, rappresenta una garanzia anche rispetto al valore della moneta, che si deprezzerebbe nell’immediato a poi diventerebbe conveniente da acquistare sui mercati, quindi si rivaluterebbe automaticamente. È evidente che un passaggio di questo tipo richiede un robusto impianto pensato preventivamente che unisce settore bancario, industriale, tutela dei risparmi degli italiani e nazionalizzazione di asset strategici. Ma anche gestione di un debito che oggi è un grosso problema proprio perché siamo nella moneta unica, mentre in sovranità monetaria potrebbe essere gestito in modo completamente diverso. Noi di Italexit questa struttura l’abbiamo studiata e ci è ben chiara. Tra l’altro, bisogna anche prendere in considerazione l’eventualità che la struttura europea e l’Euro possano essere messi in discussione da altri Paesi, a partire dalla Germania. Per paradosso, potremmo trovarci nella condizione di affrontare uno smantellamento esterno della moneta unica: noi sapremmo come affrontare l’emergenza, cosa che nessun altro partito può garantire. Noi vogliamo un’Italia che torni a correre come negli anni del dopoguerra fino a inizio Anni ’90, quando Prodi e compagnia ci spacciarono l’Euro e la Ue come un eldorado. Invece tutti i dati disponibili ci dicono che ogni parametro interno del Paese è peggiorato. I problemi che citate nella domanda non ci sarebbero in caso di uscita dall’Euro: ci sono adesso. Siamo sotto ricatto perenne dello spread, che spesso viene usato come forma di influenza politica e il debito è aumentato nonostante le politiche di austerity e un ventennale attivo di bilancio statale. Il crollo dei consumi interni è un dato di fatto, la recessione anche, anzi, siamo in pratica in stagflazione, che è il peggiore degli scenari. Ricordo che voi di Money nel 2018 realizzaste una bella inchiesta su quello che sarebbe successo se fossimo tornati alla moneta sovrana. Le vostre conclusioni erano molto interessanti. Su questo argomento bisognerebbe fare un dibattito di ore per spiegare tutte le singole sfaccettature. I trattati europei legati alle dinamiche monetarie hanno portato a un’enorme concentrazione di ricchezza in poche mani e hanno raddoppiato il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta. Bisogna mettere un freno a questa caduta o non ne usciremo più.

Anche voi, come il centrodestra, proponete la flat tax al 15%, ma solo per chi produce Made in Italy. Per il resto volete aliquote fiscali come nei paradisi fiscali europei: a quali percentuali pensate?

La nostra proposta per la piccola e media impresa nasce innanzitutto come provocazione, nata dopo aver visto che multinazionali monopoliste avevano contrattato con le istituzioni europee una tassazione annuale massima per l’appunto del 15%. Perché mai una multinazionale dovrebbe pagare il 15% e un imprenditore italiano il 50% o più? Vede, come sempre dietro i numeri la nostra politica come Italexit rivela dei precisi messaggi. Se pagano 15 le multinazionali, pagano 15 anche gli imprenditori nostrani. Anzi, gli daremo anche premi di qualità per il Made in Italy. Promuoveremo la dieta mediterranea, che è la più sana al mondo, promuoveremo i nostri prodotti che sono sempre stati all’avanguardia mondiale sia che si parli di settore tecnico, sia di moda, sia di altro. Stesso discorso vale per i paradisi fiscali europei. Voi stessi ne state parlando, perché esistono, ed è vergognoso che in un’Europa che si dice unita e solidale si permetta che ci siano Paesi che lucrano sulle spalle di altri Paesi. Se una nazione europea applica politiche che ledono la concorrenza, provocatoriamente diciamo che lo faremo anche noi. L’Europa è inutile e imbelle anche su questo, come potremmo difenderci da queste storture e da questi continui attentati alla sana e leale competizione? O tutti diventano paradisi fiscali, e ovviamente non è possibile, o si stabiliscano regole perché in Europa non possano esistere Stati parassiti.

Vorreste anche una rottamazione delle cartelle esattoriali “per chi ha sofferto della gestione della crisi Covid”: come funzionerebbe? E volete restituire i 100 euro di multa agli over 50 che non si sono vaccinati?

Per due anni le attività sono state massacrate, in molte hanno chiuso, altre hanno riaperto in perdita nella speranza di una futura ripresa che ora viene vanificata dalla crisi energetica. A voi sembra logico che lo Stato vada a fare cassa chiedendo soldi ad attività che sono già allo stremo, oltretutto dopo aver messo a disposizione dei ristori del tutto insufficienti? Vogliamo renderci conto che in questo modo si distrugge definitivamente la nostra economia, la piccola e media impresa, il commercio, la ristorazione, la sopravvivenza delle categorie in tutti i settori del lavoro? Lo stesso discorso vale per le vergognose multe agli Over 50, che noi vogliamo annullare. Siamo totalmente contrari all’obbligo di vaccino, disgustosa forma di ricatto su persone sane e libere, figuriamoci alle multe!

Quali proposte avete per aiutare i giovani (pensione di garanzia, taglio ai contratti precari, mutui agevolati, maggiori sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato)?

Una premessa: in queste condizioni generali è difficilissimo risolvere la situazione di qualsiasi categoria. Se l’economia va in crisi e chiudono le aziende il lavoro non c’è. È un problema strutturale che va risolto a monte, poi si può pensare alle iniziative per aiutare i giovani, a partire per esempio dalle facilitazioni sugli affitti (o sui mutui) per i giovani lavoratori e anche per gli studenti. Ma con una crisi energetica che azzera i margini di imprese, commercio, ristorazione eccetera diventa difficile garantire stipendi adeguati a chiunque. Per uscire da questa situazione, oltre al recupero indispensabile di una sovranità monetaria che ci permetta di attuare politiche espansive e socialmente significative, occorre tornare al modello costituzionale di lavoro. Perciò è essenziale ridimensionare all’osso la flessibilità del lavoro. La legge Fornero e il Jobs act hanno legalizzato il licenziamento illegittimo. Oggi l’Italia registra il più alto tasso di precarietà mai registrato nella sua storia; l’attuale legislazione ha cestinato le conquiste degli anni ’70 e ha instaurato regole meno protettive di quelle del ’42, per questo è necessario tornare alla normativa precedente al governo Renzi; il contratto a tempo determinato deve essere residuale. Non è giusto, poi, affidare gli stessi strumenti ad aziende grandi e piccole. Le grandi imprese, forti economicamente, devono essere escluse dal ricorso a queste forme contrattuali. Il lavoro in somministrazione, a tempo determinato o indeterminato, va abolito. I contratti di apprendistato devono avere programmi seri di formazione: lo stage non è un contratto di lavoro e va abolito, perché è adoperato come strumento di sfruttamento e lavoro gratuito. In generale i contratti precari devono risultare onerosi e il contratto a tempo indeterminato più vantaggioso. Si deve investire sui controlli. Occorre restituire forza contrattuale ai lavoratori e i contratti pirata devono essere messi fuori legge. Per quanto riguarda gli incentivi e gli sgravi fiscali in relazione alle assunzioni sono un’arma a doppio taglio. Al netto delle agevolazioni fiscali, resta un problema di sostenibilità economica del lavoro dipendente: anche se aiuti fiscalmente il piccolo artigiano, farà comunque fatica a tenere in piedi un rapporto di lavoro. Le agevolazioni fiscali saranno un banchetto per la grande impresa multinazionale, già ricchissima. Gli incentivi vanno aumentati, ma riservati alla piccola e media imprenditoria. Quanto alle partite iva, il fenomeno dei finti autonomi va sradicato. I diritti devono diventare il nuovo campo comune. Per tutti: anche per i lavoratori della gig economy, in maggioranza giovani, che meritano le stesse tutele di tutti gli altri. Questa è la base da cui partire per aiutare concretamente i giovani e non solo.

Capitolo pensioni, cosa fareste dopo quota 102 per non tornare alla legge Fornero? La pensione minima va aumentata?

Noi siamo per l’abolizione completa della legge Fornero, che di fatto blocca le dinamiche naturali del ricambio generazionale costringendo le persone a lavorare fino a tarda età, con ovvie conseguenze anche sull’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani. Vogliamo un limite massimo a 65 anni per l’età pensionistica, con possibilità di anticipo per lavori usuranti o con 40 anni di contributi versati senza limite di età o penalizzazioni. Le pensioni minime sono del tutto inadeguate al costo della vita, con conseguenze drammatiche per gli anziani e anche per l’economia nel suo complesso, perché la domanda interna ne risente pesantemente. Quindi vogliamo l’aumento delle pensioni minime per pensionati almeno a 900 euro. In caso di mancato raggiungimento del limite contributivo (20 anni), nell’impossibilità di ricevere la pensione dev’essere prevista per il contribuente la restituzione di quanto versato, o perlomeno un indennizzo proporzionale al relativo montante.

Applicare il vostro programma costerebbe decine di miliardi: dove trovare le coperture?

Se andiamo a vedere le nostre proposte una per una, vediamo che fanno parte di un’impalcatura coerente. Non si tratta solo di applicare dinamiche monetarie keynesiane, che peraltro rappresentano l’unico modo per uscire dalla situazione drammatica che stiamo vivendo. Si tratta anche di gestire diversamente le risorse esistenti, la struttura dello Stato e gli asset più importanti della nostra economia. Oggi Draghi li sta svendendo a uno a uno. Noi vorremmo recuperarli e metterli a servizio della comunità. Ovviamente tutte queste domande richiederebbero pagine di spiegazioni come risposta, perciò non è possibile entrare più di tanto nei particolari. Provando a riassumere: dobbiamo riappropriarci della sovranità monetaria e politica per gestire autonomamente la nostra economia e le nostre leve finanziarie. Secondo, dopo decenni di assurde privatizzazioni, dobbiamo cambiare rotta sui nostri asset. Pensiamo solo ad Autostrade, e qui si sprofonda nella tragedia da tutti i punti di vista. Se poi oggi Eni fosse gestita dallo Stato, potremmo reinvestire i 7 miliardi di utili che ha realizzato nell’ultimo semestre per calmierare i prezzi delle bollette. Se le multinazionali invece di godere di ogni tipo di favore lobbystico fossero riportate entro un giusto ambito, e fossero costrette a pagare le tasse in Italia come chiunque altro senza facilitazioni, si aumenterebbero le risorse pubbliche e ciò andrebbe a favore di imprese e cittadini. La nostra sarebbe un’economia per la gente e non per le elite. Al momento andiamo verso un feudalesimo dal sapore tecnologico: un vero orrore.

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