Falsa partita Iva: sanzioni, rischi e come riconoscerla

condividi

Come si riconosce una partita Iva falsa? Cosa si intende per partita Iva finta o fittizia? E, soprattutto, quali sono le sanzioni? Ecco quello che devi sapere.

Falsa partita Iva: sanzioni, rischi e come riconoscerla

Quando si parla di false partite Iva, si affronta una tematica molto delicata all’interno del mondo del lavoro. Una realtà che, di fatto, unisce lavoro autonomo e lavoro subordinato in una pratica non trasparente e illegale.

Un rapporto tra datore di lavoro e dipendente a tutti gli effetti, ma mascherato sotto una collaborazione con partita Iva finta, anzi fittizia, che mina alle fondamenta i principi etici e legittimi di un contratto lavorativo regolare. Ma come riconoscere le false partite Iva? Quali possono essere le conseguenze legali e finanziarie per coloro che ne sono coinvolti? Scopriamolo insieme nella nostra guida.

Cosa si intende per falsa partita Iva?

Cosa si rischia quando si ha una partita Iva falsa? Prima di rispondere a questa domanda, bisogna chiarire cosa si intende per “partita Iva falsa”.

Questo termine viene utilizzato per indicare quei rapporti lavorativi in cui il dipendente è stato costretto ad aprire una partita Iva, presentandosi così come un lavoratore autonomo, mentre è di fatto un lavoratore dipendente, in una situazione di subordinazione.

Quando si presenta una situazione del genere, la partita Iva, anche se regolarmente aperta, viene considerata “falsa”, perché il suo proprietario non è effettivamente un lavoratore autonomo, visto che non vengono rispettati i criteri necessari.
Vediamo di seguito quando succede e quali sono, soprattutto, le sanzioni.

False partite Iva: la differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo

Per quanto previsto dalla legge n.92/2012 esistono due tipologie di lavoro: quello subordinato, e quello autonomo. Quello subordinato è il lavoro fatto con un contratto di assunzione, dove l’azienda paga gli oneri richiesti, come l’Inps, e fornisce una serie di vantaggi, come il periodo di malattia o le ferie.

Quello autonomo, invece, è il lavoro con partita Iva, ed è collaborativo. I contratti sono di collaborazione, e la persona con partita Iva (che può essere un consulente, un grafico, un copywriter, e così via), si occupa di versare all’Inps quanto dovuto, ma ha anche una serie di libertà maggiori.

Questa distinzione è nata proprio per provare ad arginare il problema delle partite Iva false. Ovvero, quelle partite Iva create da lavoratori dipendenti su pressioni da parte delle aziende, in modo che queste possano avere i vantaggi dati dal collaborare con partita Iva. Tuttavia, per una serie di ragioni, il lavoratore risulta essere in un rapporto di lavoro dipendente di fatto.

Partita Iva falsa e presunzione di lavoro subordinato

Sempre la legge numero 92/2012 ha introdotto il concetto di presunzione di lavoro subordinato. Sono stati così identificati una serie di requisiti in base ai quali il lavoro svolto dalla persona con partita Iva viene considerato da “lavoro subordinato”, fino a prova contraria.

In breve, quando le prestazioni sono “esclusivamente personali, continuative, ripetitive e organizzate dal committente rispetto al luogo e all’orario di lavoro” allora si è in una di queste situazioni. Quando si verificano situazioni simili, il committente può essere costretto a tramutare la collaborazione in un rapporto dipendente.

Come riconoscere una falsa partita Iva

Innanzitutto, bisogna fare una premessa. I possessori di partita Iva devono godere di libertà organizzativa. Cosa significa? In breve, i collaboratori possono gestire il lavoro richiesto nei tempi, modi, e modalità preferite, a patto che venga rispettato quanto previsto dal contratto.

In pratica, un collaboratore può lavorare da dove vuole e quando e quanto vuole, finché consegna quanto previsto nei termini stabiliti.

I criteri per stabilire una falsa partita Iva

Quindi, come si fa a riconoscere una falsa partita Iva?

La presunzione di lavoro subordinato c’è quando almeno due dei seguenti requisiti sono veri:

  • criterio temporale: il lavoratore collabora per un totale di 8 mesi, anche non consecutivi, nel corso di due anni con la stessa realtà;
  • criterio del fatturato: in due esercizi consecutivi il fatturato del lavoratore autonomo arriva per almeno l’80% dei compensi ottenuti da uno stesso committente;
  • criterio organizzativo: il lavoratore autonomo presta servizio in un luogo richiesto dal committente, a orari previsti (orario d’ufficio, per esempio).

Le irregolarità contestate per la falsa partita Iva

Le irregolarità contestate interessano sia il lavoratore, sia il committente. In caso di controllo queste generalmente riguardano:

  • il datore di lavoro, che si avvale del lavoro di una persona come in un rapporto subordinato, senza però sostenere gli oneri dovuti e fornire le tutele previste dalla legge;
  • il lavoratore autonomo, che si trova a dover svolgere un lavoro dipendente, senza poter godere delle tutele riconosciute ai lavoratori dipendenti.

Falsa partita Iva: le sanzioni

Le sanzioni per la creazione o l’uso di una Partita IVA falsa possono variare a seconda della gravità dell’infrazione e di casistiche specifiche. Anche perché l’irregolarità va segnalata e dimostrata secondo le metodologie elencate.

In caso di partita Iva falsa, si configura un illecito amministrativo, fiscale e contributivo per cui il soggetto committente sarà quindi passibile di sanzioni. Il lavoratore invece verrà considerato dipendente a tempo indeterminato.

Tuttavia, dal 1 gennaio 2016, attraverso il Jobs Act è stata introdotta una nuova possibilità. In pratica, nel caso in cui il soggetto committente si trovasse ad avere collaboratori che figurano nella situazione di lavoro subordinato, può assumerli con regolare contratto a tempo indeterminato, estinguendo la possibilità di illecito amministrativo.

Falsa partita Iva: casi esclusi

Non tutte le partite Iva ricadono nella situazione di “falsa partita iva”. Alcuni soggetti infatti, perché riconosciuti come lavoratori atipici, sono esclusi.

In particolare, a far parte di questa lista, sono:

  • i professionisti iscritti all’albo (avvocati, medici, ecc);
  • chi svolge collaborazioni con associazioni, come quelle sportive dilettantistiche;
  • gli agenti di commercio;
  • i collaboratori delle PA;
  • i percettori di pensioni di vecchiaia;
  • gli appartenenti agli organi di amministrazione, come i sindaci.

In questi casi, anche se vengono rilevati tutti i criteri richiesti per identificare una "partita Iva falsa”, non si ricade comunque in una situazione del genere.

Iscriviti a Money.it

SONDAGGIO