In questi giorni l’oro ha toccato un nuovo record storico ma è davvero un bene rifugio come ci hanno sempre detto capace di resistere a inflazione, guerre e scenari di crisi?
È un periodo florido per l’oro, la cui quotazione nelle scorse ore ha raggiunto quota 4.123 dollari l’oncia. Un vero record, arrivato in largo anticipo rispetto alle previsioni degli analisti, che stimavano un rialzo simile solo nel 2026. A far crescere così tanto il valore è la forte domanda per il bene considerato da sempre rifugio per eccellenza. Le tensioni geopolitiche e l’inflazione stanno spingendo gli investitori a puntare sull’oro, nel tentativo di proteggere i propri asset dal rischio di perdita di valore.
Che l’oro sia il bene rifugio per eccellenza, capace di resistere a inflazione, guerre e crisi politiche di ogni tipo, è un’idea radicata nella mente collettiva. Ma è davvero così? Davvero l’oro è indipendente e immune da qualsiasi influenza esterna? In realtà non è proprio così: analizzando il suo potere d’acquisto nel tempo si scopre un andamento tutt’altro che stabile, caratterizzato da bruschi cali e lunghi periodi di stagnazione.
Oro bene rifugio? Non è come sembra
Tra il 1980 e il 2001, ad esempio, l’oro ha visto crollare il proprio valore reale di quasi l’80%. Chi lo aveva acquistato alla fine degli anni ’70, convinto di proteggersi dall’inflazione, ha subito perdite durate decenni, mentre azioni e obbligazioni registravano rialzi record. Lo stesso schema si è ripetuto anni dopo: tra il 2011 e il 2018, il metallo prezioso ha perso nuovamente circa un terzo del suo valore reale, confermando che non sempre rappresenta un rifugio sicuro contro l’instabilità economica. Se fosse davvero un baluardo contro l’inflazione, queste fluttuazioni non esisterebbero.
In realtà, l’oro non reagisce all’inflazione in sé, ma alla paura che essa genera. La quotazione sale quando le persone temono che il loro denaro perda valore, e scende quando regna la stabilità economica. Il mito dell’oro come bene anti-inflazione nasce negli anni ’70, un periodo segnato da crisi petrolifere, alta inflazione e forti tensioni sociali. In quegli anni il prezzo del metallo prezioso aumentò vertiginosamente, ma non per effetto diretto dell’inflazione: il vero motivo fu la liberalizzazione del mercato dopo l’abbandono del gold standard da parte degli Stati Uniti. Dopo decenni di prezzi controllati, l’oro tornò semplicemente a riflettere il suo valore di mercato libero, e la coincidenza con l’inflazione alimentò un mito destinato a durare.
Quella coincidenza degli anni ’70 ha impresso nell’immaginario collettivo l’idea dell’oro come asset sicuro, immune da ogni crisi. Ma i dati raccontano altro. In diversi periodi di aumento dei prezzi, l’oro non ha seguito l’inflazione: spesso, anzi, si è mosso in direzione opposta. Negli anni ’90, ad esempio, con un’inflazione moderata ma costante, il suo valore crollò. Al contrario, negli anni 2010, con inflazione bassa, l’oro ha registrato un forte rialzo. Un chiaro segnale che il legame tra oro e inflazione è molto meno diretto di quanto si creda.
Ecco la vera difesa contro l’inflazione
In un mondo in cui i mercati reagiscono in una frazione di secondo e le banche centrali intervengono rapidamente su inflazione e liquidità, l’oro ha perso gran parte del suo ruolo di rifugio prudente, trasformandosi in un asset da speculazione. Quando i tassi d’interesse restano bassi, l’oro ne beneficia per mancanza di alternative redditizie; ma non appena i rendimenti obbligazionari risalgono, i capitali migrano altrove. In questo contesto, più che una copertura contro i rischi, l’oro riflette semplicemente il ciclo monetario globale.
La vera difesa contro l’inflazione non è l’oro, ma gli asset reali capaci di generare reddito: azioni che crescono di valore, immobili che producono rendite, imprese in grado di trasferire i costi ai consumatori. Questi sono i veri scudi contro l’erosione monetaria. L’oro, invece, non crea valore: non distribuisce dividendi, non produce beni o servizi e non si adatta ai cambiamenti dell’economia. Resta semplicemente fermo, in attesa che qualcuno decida di pagarlo di più.
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