Chi passa troppo tempo sui social rischia il licenziamento, sia in malattia che nel tempo libero. Ecco cosa dicono i giudici.
Passare troppo tempo sui social è sconsigliabile per svariate ragioni, compresa la conservazione del posto di lavoro.
Una recente sentenza riguarda proprio il licenziamento di un lavoratore per l’uso dei social al di fuori dall’orario di lavoro, nello specifico durante la malattia. Una situazione apparentemente singolare che in realtà conta già numerosi precedenti nella giurisprudenza italiana ed europea in generale.
Non sempre questo genere di licenziamento è legittimo, tuttavia, ma soltanto quando c’è una concreta lesione del rapporto fiduciario o dell’immagine del datore di lavoro.
Licenziato perché usava i social in malattia
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4047/2025, ha confermato il licenziamento di un lavoratore che usava assiduamente i social network durante l’assenza per malattia.
Nello specifico, l’ex dipendente aveva pubblicato numerose foto e video di allenamenti in palestra, circostanze contrastanti con le prescrizioni mediche. Il dipendente in malattia ha infatti l’obbligo di rispettare le indicazioni mediche e di non allungare i tempi di guarigione per negligenza. Di conseguenza, se l’uso dei social contraddice il motivo della malattia o evidenzia una condotta rilevante sotto il profilo disciplinare può portare al licenziamento. In entrambi i casi si ha infatti una violazione del vincolo fiduciario tra le parti, alla base del rapporto di lavoro.
Per giustificare un licenziamento, però, l’uso dei social deve avere un collegamento diretto e una correlazione logica con la violazione imputata al dipendente. In caso di assenza per malattia valgono quelle condotte contrastanti con il presunto stato di salute del lavoratore o che impediscono la guarigione in tempi ottimali, a danno del datore di lavoro. Lo stesso principio può essere esteso a qualsiasi tipo di assenza, compresi permessi e congedi, ammesso che l’incompatibilità tra le ragioni dichiarate e l’uso di social sia manifesta ed evidente. Sull’argomento, c’è un altro precedente recente che conferma questa interpretazione.
Si tratta della sentenza n. 658/2025 del Tribunale di Napoli, che ha approvato il licenziamento di un dipendente che aveva ottenuto un permesso studio, mentendo al datore di lavoro, salvo pubblicare deliberatamente immagini di una vacanza. Un altro episodio analogo è quello di cui si è occupato il Tribunale di Benevento, che con sentenza n. 1053/2024 aveva confermato il licenziamento di un dipendente in malattia che si era mostrato suonare con la propria band musicale, nonostante le condizioni di salute dichiarate fossero incompatibili.
Ha invece avuto un risvolto differente il caso di una donna spagnola, licenziata ingiustamente per aver lavorato come influencer durante il periodo di malattia. La controversa sentenza (n. 260/2025) del Tribunal superior de justicia de Castilla y León ha infatti giudicato il licenziamento illegittimo, dopo aver verificato che l’uso dei social non fosse incompatibile con la malattia, né pregiudicasse la guarigione. La lavoratrice era in particolare in congedo per un disturbo d’ansia e non è venuta meno alla buona fede contrattuale postando qualche immagine sui social, pur sponsorizzando prodotti cosmetici.
Licenziamento per l’uso dei social fuori dall’orario di lavoro
Come si può capire, chi è in malattia deve fare particolare attenzione all’uso dei social network, ma di fatto non si è esenti da rischi nemmeno nel semplice tempo libero.
Bisogna infatti sempre restare entro i limiti del vincolo fiduciario e non pregiudicare l’immagine e la reputazione del datore di lavoro. Per esempio, potrebbe essere licenziato il lavoratore che si lascia andare ad affermazioni razziste, violente o discriminatorie compromettendo l’azienda, come pure chi critica aspramente il datore di lavoro superando i limiti del decoro e della contingenza.
Quest’ultima è una situazione molto diffusa, con veri e propri trend di TikTok dedicati alle lamentele dei lavoratori che si rivelano spesso controproducenti. La sentenza n. 6854/2023 del Tribunale di Roma, per esempio, ha confermato il licenziamento di una commessa che si era lamentata in un video del proprio lavoro, seppur ironicamente ma ledendo l’immagine del datore. Nel complesso, i social network e ogni forma di comunicazione pubblica deve rientrare nei limiti della buona fede e della correttezza che legano dipendenti e datori di lavoro.
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