Licenziamento per giusta causa: quando si rischia di perdere immediatamente il lavoro

Simone Micocci

06/10/2021

03/03/2022 - 12:46

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Licenziamento per giusta causa, o in tronco: quali sono i motivi che giustificano la risoluzione del contratto e cosa cambia per il preavviso e il diritto alla NASpI. Ecco alcuni esempi.

Licenziamento per giusta causa: quando si rischia di perdere immediatamente il lavoro

Capire quando si parla di licenziamento per giusta causa è molto importante: dovete sapere, infatti, che ci sono dei comportamenti, come pure delle mancanze, che potrebbero farvi perdere immediatamente il lavoro, senza neppure un giorno di preavviso.

Possiamo semplificare dicendo che il licenziamento per giusta causa può scattare quando il dipendente si rende colpevole di comportamenti talmente gravi e rilevanti dal punto di vista disciplinare da impedire, anche solo per un giorno, la prosecuzione del rapporto di lavoro. È per questo motivo che nel caso di licenziamento per giusta causa il datore di lavoro non ha l’obbligo di rispettare il preavviso previsto.

Il licenziamento per giusta causa, insieme a quello per giustificato motivo soggettivo, fa parte della categoria dei licenziamenti disciplinari. C’è poi il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invece, che fa riferimento a motivazioni connesse all’organizzazione aziendale.

Restando nell’ambito del licenziamento disciplinare è importante capire quando il licenziamento si definisce per giusta causa e quali sono i fattori che lo differenziano dal licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Ve ne parleremo in questa guida dedicata al licenziamento per giusta causa, nella quale trovate le informazioni necessarie su motivazioni e conseguenze, specialmente in riferimento all’indennità di disoccupazione NASpI, e alcuni esempi che potrebbero esservi d’aiuto per capire meglio di cosa stiamo parlando.

Licenziamento disciplinare: la giusta causa

È opinione condivisa che il contratto a tempo indeterminato metta il dipendente al sicuro da eventuali licenziamenti; questa “credenza”, però, non è del tutto corretta, perché è vero che la legge italiana vieta il licenziamento del dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato, ma solo quando questo non è fondato su valide ragioni.

Ci sono delle condizioni, infatti, che rendono il licenziamento del dipendente legittimo, come quando è giustificato da motivazioni di tipo disciplinare. Ad esempio al datore di lavoro è consentito licenziare un lavoratore quando si verifica un evento talmente grave da impedire la continuazione del rapporto lavorativo.

Il licenziamento per giusta causa - e quello per giustificato motivo soggettivo - rientra nei cosiddetti licenziamenti disciplinari in quanto la condotta del lavoratore può pregiudicare il rapporto di lavoro, a causa di inadempienze di diversa natura.

Secondo l’art. 2119 del Codice Civile si parla di giusta causa di licenziamento quando si verifica “una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” e l’intimazione deve essere immediata e tempestiva.

La giurisprudenza ha stabilito altresì che se il lavoratore commette un reato, il fatto non rappresenta automaticamente una giusta causa di licenziamento, perché il datore deve verificare l’inidoneità del lavoratore a proseguire con il rapporto di lavoro e deve attendere l’esito del processo prima di procedere con il licenziamento per giusta causa.

In attesa di condanna può procedere solo con una sospensione cautelare del lavoratore.

Conseguenze per preavviso e NASpI

L’articolo 2219 del Codice Civile stabilisce anche che il datore di lavoro, nel caso di licenziamento per giusta causa, può:

  • recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato;
  • non dare preavviso se il contratto è a tempo indeterminato. In tal caso il recedente ha l’obbligo di versare un’indennità equivalente alla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per il periodo di preavviso (art. 2119 c.c.).

A questo punto ci resta una sola domanda alla quale rispondere: il dipendente licenziato per giusta causa ha diritto alla NASpI? Per chi non lo sapesse questa è l’indennità di disoccupazione riconosciuta dall’INPS a tutti i dipendenti che a causa della perdita del lavoro diventano disoccupati.

Tuttavia la NASpI non spetta nel caso in cui il dipendente si dimetta dal proprio incarico. Per questo motivo si potrebbe pensare che questa non venga riconosciuta neppure quando il licenziamento sia stato causato da un grave inadempimento del dipendente, ma non è così.

Infatti il diritto alla NASpI spetta anche ai dipendenti licenziati per giusta causa o giustificato motivo poiché - come chiarito dal Ministero del Lavoro - questo tipo di cessazione del rapporto lavorativo non è conseguente automaticamente al comportamento del dipendente, ma è riconducibile all’arbitrarietà del datore di lavoro.

Di conseguenza anche il dipendente licenziato per motivi disciplinari rientra nei casi di disoccupazione involontaria e di conseguenza ha diritto all’indennità di disoccupazione NASpI.

Differenze tra giusta causa e giustificato motivo

In passato il licenziamento per giusta causa era legittimato da:

  • grave inadempimento del lavoratore;
  • venir meno irrimediabilmente del rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

Con l’entrata in vigore della legge 604/1966, che ha disciplinato anche i casi di risoluzione per inadempimento, ovvero il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che la differenza tra le due circostanze sarebbe rilevante solo ai fini del profilo quantitativo (maggiore o minore gravità).

In particolare la giusta causa viene connessa al dolo o alla colpa gravissima, casi che consentono al datore di lavoro, a differenza della risoluzione per inadempimento (giustificato motivo soggettivo), di procedere senza preavviso e senza il versamento dell’indennità (c.d. licenziamento in tronco).

Si ha licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, quando la risoluzione dipende da ragioni connesse all’organizzazione del lavoro, al funzionamento regolare dell’organizzazione e all’attività produttiva.

Licenziamento disciplinare illegittimo

Esistono tre ipotesi in cui il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo può dirsi illegittimo.

La prima è quella dell’insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo. In questa ipotesi non è chiaro se detta insussistenza debba essere relativa a tutti i fatti che hanno condotto il datore di lavoro a procedere con il licenziamento o soli quelli principali. Ad ogni modo, il datore di lavoro è condannato a una sanzione di tipo conservativo: reintegrazione del lavoratore e risarcimento del danno, commisurato all’ultimo stipendio e inerente al periodo intercorso tra l’intimazione del licenziamento ed effettivo reintegro (tetto massimo di 12 mensilità). Il datore è tenuto inoltre a versare i contributi previdenziali al lavoratore per un ammontare (maggiorato di interessi legali) pari alla differenza tra quanto avrebbe maturato continuando a lavorare e quanto ha maturato grazie ad altre attività lavorative;

La seconda consiste nella non ricorrenza della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo. In questo caso non è prevista la reintegrazione del lavoratore, quanto il versamento da parte del datore di un’indennità tra le dodici e le ventiquattro mensilità.

Infine abbiamo il difetto di motivazione o violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 604/1966. Il lavoratore in tal caso avrà diritto ad un’indennità sostitutiva tra sei e dodici mensilità, il cui importo verrà stabilito dal giudice in base alla violazione formale o procedurale da parte del datore di lavoro.

Esempi licenziamento per giusta causa

Con l’aiuto di alcuni esempi pratici spiegheremo cos’è il licenziamento per giusta causa e le sue conseguenze, sia per il dipendente che per il datore di lavoro.

Questo tipo di licenziamento è il più grave e riguarda adempimenti che ledono per sempre il vincolo di fiducia tra datore e dipendente e rendono impossibile prosegue il rapporto di lavoro.

È il caso di furto di materiale aziendale, finta malattia, falsificazione del badge, ma gli esempi potrebbero essere infiniti.

Negli anni, la dottrina di merito ha precisato che la giusta causa di licenziamento ricorre anche per comportamenti non strettamente collegati al contratto di lavoro ma che si riflettono - direttamente o indirettamente - sulla qualità/quantità del lavoro e il rapporto con colleghi e superiori.

Spetta al datore di lavoro - o al giudice nel caso in cui il dipendente faccia ricorso contro il licenziamento - stabilire se la condotta del lavoratore ha violato il rapporto di fiducia che deve legare le parti.

A tal proposito con la sentenza n. 1077/2008 la Corte di Cassazione ha definito quali sono i parametri da prendere in considerazione nella valutazione. Nel dettaglio, bisogna tener conto de:

  • l’intensità dell’elemento intenzionale;
  • il danno arrecato al datore di lavoro;
  • il grado di affidamento in base alle mansioni svolte dal lavoratore;
  • la natura e la tipologia del rapporto;
  • assenza di precedenti sanzioni.

La valutazione, quindi, è soggettiva: per questo motivo è possibile che due comportamenti uguali non vengano puniti allo stesso modo con il licenziamento in tronco.

Ora che abbiamo spiegato cos’è, facciamo degli esempi pratici di ipotesi che possono portare al licenziamento disciplinare per giusta. Spesso sono gli stessi CCNL di categoria a elencare le cause di licenziamento, ma vi sono dei comportamenti uguali per tutte le tipologie di lavoratori:

  • ingiustificato rifiuto di lavorare;
  • furto di beni aziendali di rilevante valore economico, come computer e sedie ergonomiche;
  • lavorare per un altro datore di lavoro nei periodi coperti da indennità di malattia;
  • abbandono immotivato, per più di 4 giorni, del posto di lavoro;
  • presentarsi al lavoro in stato di alterazione psichica per aver assunto alcolici o sostanze stupefacenti;
  • uso del telefono durante l’orario di lavoro;
  • minacce o percosse nei confronti del datore di lavoro o dei colleghi;
  • utilizzo indebito dei permessi riconosciuti dalla Legge 104;
  • falsificazione del cartellino o del badge;
  • ritardi ripetuti e ingiustificati sul posto di lavoro;
  • reiterato mancato rispetto degli orari delle visite fiscali;
  • diffamazione nei confronti dell’azienda, anche se per mezzo di Facebook;
  • rivelazione di segreti aziendali.

E se il dipendente commette un reato che non ha nulla a che vedere con il lavoro?

Gli esempi che abbiamo fatto sono strettamente legati all’attività aziendale, tuttavia il dipendente può essere licenziato anche se commette fatti gravi che non riguardano la vita lavorativa ma la sua sfera privata: è il caso di reati come violenza domestica, minaccia, truffe e altri fatti gravi.

In questi casi, di norma, il licenziamento non è mai automatico. Il datore deve dimostrare che il o i reati commessi dal dipendente siano incompatibili con gli ideali e principi dell’azienda.

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