Mosca è a corto di petrolio redditizio. Le riserve si assottigliano e lo Stato non investe. Quali saranno le conseguenze per l’economia russa e per l’Europa?
La Russia sta finendo le riserve di petrolio. Lo ha rivelato il Ministro delle Risorse Naturali della Federazione Russa, Aleksandr Kozlov, in una dichiarazione che ha acceso i riflettori su una questione finora sottovalutata.
Le parole del ministro confermano che, delle 31 miliardi di tonnellate di riserve stimate nel Paese, solo 13 miliardi sono realmente estraibili con un margine di redditività. Il resto è composto da giacimenti esauriti, allagati o tecnicamente troppo complessi da sviluppare con le tecnologie attuali.
La situazione è ancora più grave se si guarda al ritmo attuale di produzione: con oltre 516 milioni di tonnellate di petrolio estratte ogni anno, le riserve sfruttabili dureranno solo 26 anni. Ma questa è una stima ottimistica, che non tiene conto della crescente difficoltà nell’estrazione e della scarsa volontà del governo di finanziare tecnologie avanzate per l’industria.
Dietro la potenza energetica russa si cela quindi una realtà ben più fragile. La dipendenza da risorse difficili da recuperare, il calo dei prezzi internazionali e le sanzioni mettono a dura prova l’intero settore petrolifero russo. E gli effetti rischiano di estendersi ben oltre i confini della Russia: di seguito tutto quello che serve sapere a riguardo.
Perché la Russia sta per finire il suo petrolio
La fine del petrolio russo non è solo una previsione a lungo termine, ma un rischio concreto in tempi relativamente brevi. A oggi, oltre la metà delle riserve petrolifere russe rientra nella categoria delle “riserve difficili da recuperare” (DOR). Questi giacimenti, spesso situati in regioni remote come l’Artico o profondamente sepolti nel sottosuolo, richiedono tecnologie costose e sofisticate per essere sviluppati. Tuttavia, la mancanza di investimenti statali e il blocco delle collaborazioni con partner esteri a causa delle sanzioni hanno rallentato o impedito l’introduzione di tali innovazioni.
Le cifre sono eloquenti: dei 31 miliardi di tonnellate di riserve dichiarate, solo 13 miliardi sono considerate oggi economicamente sfruttabili. E persino queste risorse diventano rapidamente meno accessibili senza incentivi fiscali o supporto tecnologico. Il capo di Gazprom Neft, Alexander Dyukov, ha confermato che oltre il 60% della produzione dell’azienda proviene già da riserve difficili da estrarre. Di questo passo, mantenere il livello attuale di estrazione diventerà sempre più oneroso, riducendo la redditività e accorciando ulteriormente l’orizzonte temporale delle riserve disponibili.
Russia, c’è il rischio di una crisi del settore petrolifero?
Guardando al quadro generale russo, si può parlare di crisi strutturale, acuita da una politica governativa poco lungimirante. Nonostante le continue richieste da parte dei vertici delle compagnie energetiche per introdurre incentivi fiscali, il Ministero delle Finanze russo ha dichiarato che non valuterà nuove agevolazioni prima del 2027. Un ritardo che potrebbe risultare fatale, considerando che entro il 2030 oltre la metà del petrolio russo sarà “difficile da estrarre”.
Il mancato sostegno statale rende l’estrazione di petrolio meno competitiva proprio nel momento in cui i prezzi globali stanno crollando. Il Brent, benchmark di riferimento, è passato da oltre 116 dollari al barile nel 2022 a circa 66 dollari nel 2025. Il greggio Urals, di qualità inferiore, ha toccato recentemente i 48 dollari. Con costi di estrazione in aumento, vendere il petrolio a questi prezzi significa, per molte aziende, operare in perdita.
Questo scenario non riguarda solo la Russia. Se il settore crolla, gli effetti potrebbero riverberarsi sull’intera economia europea. In primo luogo, una crisi russa potrebbe aumentare la volatilità dei mercati energetici. In secondo luogo, un crollo delle entrate petrolifere russe potrebbe spingere Mosca a comportamenti più aggressivi sul piano geopolitico, soprattutto nei confronti dell’Europa orientale.
In un mondo ancora fortemente dipendente dal petrolio, una crisi russa potrebbe essere il primo sintomo di un crisi globale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA