La riforma pensioni che servirebbe è quella che non si farà mai

Patrizia Del Pidio

10/04/2023

Anche se la discussione sulla riforma pensioni ha perso un po della sua verve, forse è il caso di approfondire quello che servirebbe veramente ai lavoratori.

La riforma pensioni che servirebbe è quella che non si farà mai

Fino a quando si continuava a parlare dell’imminente riforma pensioni, che ora sembra essere stata messa un po’ in ombra dalla riforma fiscale, le proposte che si susseguivano riguardavano, giustamente, la flessibilità in uscita. Il Governo continua a ripetere che l’obiettivo finale per la riforma della previdenza è quello di giungere a una quota 41 per tutti senza paletti, limitazioni e, si spera, senza penalizzazioni.

Una misura che in qualche modo possa prendere il posto della pensione anticipata ordinaria prevista oggi dalla Legge Fornero. Ma serve veramente? A chi permetterebbe l’uscita in più rispetto a coloro che la guadagnano con la quota 103? Ai precoci che hanno raggiunto i 41 anni di contributi prima dei 62 anni, certamente. Ma diciamoci la verità: sono una minoranza della popolazione perché la maggior parte dei lavoratori fatica ad arrivare ai 41 anni di contributi a 62 anni. Figuriamoci, poi, in quanti riescono a raggiungere quella soglia prima.

La quota 41 per tutti che tanto si vuole sembra essere una misura per molti pochi

É pur vero che senza limiti si potrebbe accedere alla pensione con 41 anni di contributi a qualsiasi età, sia prima che dopo i 62 anni. Ma a mio avviso sembra una misura molto elitaria, destinata a chi ha avuto una carriera lunga e continuativa, cosa sempre più rara al giorno d’oggi.

Tanto varrebbe lasciare per chi ha molti contributi l’uscita a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne che oggi prevede la Legge Fornero. Chi ha versato contributi fin da giovane riesce in ogni caso a pensionarsi prima. E si potrebbero destinare le risorse per risolvere un problema molto più importante che troppo spesso passa sotto silenzio nel nostro sistema previdenziale. E riguarda non chi ha molti contributi e vuole uscire prima dal mondo del lavoro, ma chi ne ha pochi e non riesce ad accedere alla pensione neanche a 67 anni.

La riforma che servirebbe

Il problema principale in Italia è dato dai contributi silenti, quelli che, seppur versati, non danno diritto alla pensione. Se un lavoratore arriva a compiere i 67 anni con meno di 20 anni di contributi e, malauguratamente ha versato contributi prima del 1996, la pensione non gli spetta. Le strade a questo punto sono due: o continua a lavorare per raggiungere i 20 anni di contributi o versa contributi volontari per raggiungere lo stesso obiettivo.

Ma perché? Perché se un lavoratore, ad esempio, non riesce più a lavorare dopo i 67 anni perché nessuno lo assume e, al contempo, non riesce a versare i volontari per mancanza di liquidità dovrebbe perdere quanto già versato? Perché i versamenti effettuati (che ricordiamo essere obbligatori) devono andare perduti per il lavoratore e rimanere nelle casse dell’INPS?

Una riforma pensioni equa permetterebbe, stabilita un’età minima, di accedere alla pensione a prescindere dai contributi versati. Questo perché anche solo due o tre anni di contributi danno diritto a una piccola rendita, irrisoria magari, ma che spetta comunque al lavoratore perché ha versato i contributi che la generano.

La riforma che non si farà mai

Invece di pensare, quindi, a come far andare prima in pensione chi ha molti contributi, si potrebbe iniziare a pensare a come limitare, magari, le erogazioni degli assegni sociali erogando pensioni che di diritto potrebbero spettare a lavoratori che hanno versato contributi ma non hanno raggiunto i 20 anni minimi di versamenti.

Quello che viene spontaneo chiedersi è perché fino ad ora l’INPS o una qualsiasi riforma pensioni non abbia mai previsto una misura che permettesse, come fa ad esempio la Legge Dini, di andare in pensione anche con pochi contributi. Ovviamente non c’è una risposta a questa domanda e si possono fare solo ipotesi. I contributi silenti, probabilmente, fanno comodo all’Inps per fare cassa e se ci si riflette sono moltissimi. Come moltissime sono, quindi, le mini pensioni che ne deriverebbero che l’istituto non eroga.

Questo sarebbe un primo passo verso un’equità previdenziale, quello di permettere a chiunque di avere la pensione che ha maturato a prescindere dal numero di anni di versamenti.

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