L’Islanda sembra essersi decisa a entrare definitivamente in Europa e ha indetto un referendum entro il 2027. Ma perché la terra dei geyser ha deciso di rientrare nell’UE?
La fredda Islanda ha deciso di “scongelare” il suo percorso per aderire all’Unione Europea. Si potrebbe avere una “Brexit al contrario”.
Il recente cambio politico in Islanda ha riacceso un dibattito che sembrava ormai congelato: l’ingresso nell’Unione Europea. Dopo anni di tentennamenti, rinvii e ritiri formali, il nuovo governo guidato da Kristrún Frostadóttir ha inserito nel proprio programma l’obiettivo di indire un referendum sull’adesione entro il 2027. Una decisione che arriva non a caso ora che la scacchiera geopolitica si mostra quanto mai instabile.
Già in passato l’Islanda aveva avanzato la propria candidatura per entrare nell’UE, ma il processo si era arenato. Oggi, però, le condizioni sembrano diverse: l’inflazione è alta, la moneta islandese subisce fluttuazioni e la popolazione appare più aperta all’idea di unirsi all’Unione.
La promessa di un referendum concreto restituisce vitalità a un dibattito che coinvolge non solo economia e geopolitica, ma anche identità nazionale e futuro.
L’Islanda vuole entrare di nuovo in Europa: ecco cosa sta accadendo
Il rapporto tra l’Islanda e l’UE è stato a lungo costellato di avvicinamenti e brusche frenate. Dopo la drammatica crisi finanziaria del 2008, Reykjavik presentò ufficialmente domanda di adesione nel 2009, nella speranza che l’ingresso nell’UE, e soprattutto l’adozione dell’euro, potessero portare stabilità economica e favorire la ripresa. I negoziati iniziarono l’anno successivo e nel 2013 si era già raggiunto un accordo su circa un terzo delle questioni in discussione.
Tuttavia, quell’anno le elezioni politiche portarono al potere un governo conservatore e fortemente euroscettico, formato dal Partito dell’Indipendenza e dal Partito Progressista. Nel 2015, l’Islanda ritirò la sua candidatura, rinunciando allo status di Paese candidato. Le ragioni del blocco erano legate soprattutto a questioni di sovranità, con la pesca come nodo centrale: l’Islanda voleva mantenere il pieno controllo delle sue acque e della regolamentazione delle quote.
Nonostante il ritiro, l’Islanda è rimasta legata con l’Europa, entrando a far parte del patto Schengen, dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) dell’accordo di Dublino sull’asilo. Qualcosa però è cambiato: con l’aumento delle incertezze, l’Islanda ci ha ripensato. Il nuovo esecutivo, insediato a seguito delle elezioni anticipate del novembre scorso, è composto da Socialdemocratici, Riformisti e Partito del Popolo, ha rimesso al centro i legami con l’UE con la proposta di un referendum entro il 2027 e la creazione di una commissione per valutare, tra le altre cose, l’adozione dell’euro.
Perché l’Islanda vuole entrare in Europa? Pro e contro
Le ragioni che spingono l’Islanda a guardare di nuovo all’Unione Europea sono principalmente economiche e geopolitiche. Il Paese sta affrontando una fase di incertezza: l’inflazione ha toccato il 10% nel 2023 e oggi, sebbene in calo, resta vicina al 5%. La corona islandese soffre poi di alta volatilità, rendendo più costose le importazioni e facendo aumentare il costo della vita. In questo contesto, l’adozione dell’euro viene vista da molti come una possibile via per garantire maggiore stabilità economica.
Dal punto di vista geopolitico, la crescente insicurezza internazionale tra guerre, tensioni energetiche e pressioni migratorie ha rafforzato l’idea che l’UE possa offrire all’Islanda una cornice più solida per affrontare il futuro. Anche se non è un membro dell’Unione, il Paese dipende fortemente dai mercati europei e condivide numerosi standard e regolamenti. L’adesione piena rappresenterebbe, secondo i sostenitori, un passo logico per completare l’integrazione già in atto.
Tuttavia, esistono anche motivi di scetticismo. La questione della pesca rimane un tema sensibile, così come la regolazione dell’immigrazione, che è diventata centrale nel recente dibattito elettorale. Alcuni temono che l’ingresso nell’UE possa limitare la capacità dell’Islanda di decidere autonomamente su settori chiave della propria economia. Il Partito del Popolo, parte della coalizione, ha espresso posizioni più critiche, riflettendo una parte dell’elettorato ancora diffidente.
L’opinione pubblica si mostra comunque più favorevole che in passato. I sondaggi di giugno 2025 indicano che il 54% de gli islandesi voterebbe oggi per l’ingresso nell’UE, contro appena il 25% di un decennio fa. Ancora più significativo è il dato sul desiderio di decidere: il 74% dei cittadini si dice favorevole alla convocazione di un referendum, indipendentemente dalla propria posizione personale sul tema. Ora non resta che scoprire se il referendum porterà a un Íslentry o Íslin (Ísland + entry/in), ma i tempi non sono ancora maturi per scoprirlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA