I buoni pasto spettano a chiunque lavori più di 6 ore, la sentenza

Patrizia Del Pidio

22 Settembre 2025 - 17:06

La Cassazione stabilisce che il buono pasto spetta quando si lavora più di sei ore, perché in questo caso la pausa per il pasto è un diritto inviolabile, indipendentemente se si è turnisti.

I buoni pasto spettano a chiunque lavori più di 6 ore, la sentenza

I buoni pasto spettano a tutti i lavoratori della pubblica amministrazione che lavorano almeno 6 ore a condizione che nell’orario lavorativo sia prevista la pausa pranzo. Con l’ordinanza 25525 del 17 settembre 2025 la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ha stabilito che a determinare il diritto al buono pasto non è il tipo di orario, ma la durata della prestazione lavorativa e la necessità di avere una pausa che permetta di recuperare energie.

La Cassazione stabilisce che i dipendenti pubblici, senza distinzione tra lavoro su turni e non, hanno diritto al buono pasto se effettuano una giornata lavorativa che supera le sei ore e preveda la pausa pranzo.

Buono pasto nel pubblico impiego

Nel pubblico impiego, il riconoscimento del buono pasto è un’agevolazione assistenziale che cerca di conciliare le esigenze dell’ente con quelle del dipendente. Lo scopo è quello di garantire che il dipendente abbia le giuste energie fisiche e mentali per proseguire l’attività lavorativa.

L’ordinanza della Corte nasce dal ricorso presentato dall’Asp di Palermo che contestava la decisione di estendere il diritto ai buoni pasto a tutti i dipendenti con orario superiore alle sei ore da parte della Corte territoriale.
L’Asp sosteneva che bisognava effettuare una distinzione tra turnisti e non turnisti. Nel caso dei non turnisti, secondo l’azienda sanitaria, c’era il diritto al buono pasto; per i turnisti, invece, no. La Corte di Cassazione ha respinto l’ipotesi sottolineando che il diritto all’agevolazione non va ricercato nella tipologia di orario lavorativo ma nella presenza della pausa pranzo nell’orario di lavoro.

Per la Cassazione, quindi, il diritto al buono pasto sorge in presenza di giornata lavorativa superiore alle sei ore e in presenza di una pausa pranzo nell’attività (intervallo non lavorato da parte del dipendente). Il diritto alla mensa e al buono pasto, secondo i Supremi giudici, è legato all’intervallo in questione: a prevedere questa distinzione è la normativa nazionale che prevede l’intervallo per il pasto al superamento delle sei ore di lavoro.

Diritto al buono pasto: dopo sei ore si ha diritto a un intervallo

La decisione degli Ermellini prevede che, anche in presenza di un regolamento aziendale che limita il diritto solo ai dipendenti non turnisti, il buono pasto deve essere erogato a chi lavora più di sei ore perché un provvedimento aziendale non prevale sui contratti collettivi e su quanto previsto dalla legge. Dopo sei ore di lavoro il dipendente ha diritto a un intervallo per ricaricarsi.

L’ordinanza della Cassazione va oltre il semplice riconoscimento del diritto al buono pasto perché sancisce anche per i lavoratori turnisti la necessità di recuperare le energie (che è la stessa che ha un lavoratore che non lavora su turni). L’innovazione dell’ordinanza, quindi, va ricercata proprio nella spettanza della pausa pranzo vista come un diritto inviolabile per i lavoratori che hanno turni di lavoro superiori alle sei ore.

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