Prezzi della benzina manipolati attraverso la costituzione di un cartello, e per anni. La multa dell’Antitrust comminata a sei aziende, tra cui ENI e Saras.
ENI ha diramato subito un comunicato, con cui ha manifestato tutto il suo sconcerto, mentre i consumatori italiani si chiedono attoniti fino a che punto i prezzi della benzina, in generale del carburante, siano stati oggetto di manipolazione.
La sanzione inflitta dall’Antitrust, che ha colpito il cane a sei zampe, insieme a Q8, Esso, Ip, Tamoil e Saras, è d’altronde decisamente salata. Totale: quasi 1 miliardo di euro.
Di mezzo c’è il prezzo della benzina che, secondo le accuse, sarebbe stato manipolato dalle compagnie petrolifere.
Prezzi benzina, l’accusa dell’Antitrust contro ENI, Esso, Ip, Q8, Saras, Tamoil
Il comunicato diramato oggi, venerdì 26 settembre 2025, non lascia adito a dubbi. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha annunciato l’esito di una istruttoria, che è stata “avviata grazie a un whistleblower”, e da cui è emerso che “i principali operatori petroliferi si sono coordinati per determinare il valore della componente bio inserita nel prezzo del carburante”. Inevitabile le sanzioni, il cui importo è stato specificato per tutte le sette compagnie petrolifere:
“L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiuso l’istruttoria nei confronti di Eni, Esso, Ip, Iplom, Q8, Saras e Tamoil (per quest’ultima anche con riferimento alle condotte di Repsol, ora da essa acquisita), le più importanti compagnie petrolifere operanti in Italia. L’Autorità ha accertato un’intesa restrittiva della concorrenza nella vendita del carburante per autotrazione per tutte le parti, fatta eccezione per Iplom e Repsol. Per questo motivo ha sanzionato le società per un totale complessivo di 936.659.087 euro”.
A essere state sanzionate sono dunque in totale le sei aziende ENI, Esso, Ip, Iplom, Q8, Saras.
Le sanzioni inflitte a tutte le sei aziende accusate di cartello
Di seguito, le sanzioni che sono state comminate a ciascuna azienda petrolifera:
- ENI: 336.214.660 euro.
- Esso: 129.363.561 euro.
- Ip: 163.669.804 euro.
- Q8: 172.592.363 euro.
- Saras: 43.788.944 euro.
- Tamoil: 91.029.755 euro.
Cartello tra le sei aziende iniziato dal 1° gennaio 2020 fino al 30 giugno 2023
L’autorità Antitrust ha precisato che, sulla base dei risultati dell’istruttoria, è risultato che il cartello tra le sei aziende petrolifere ha avuto inizio il 1° gennaio 2020 e si è protratto fino al 30 giugno 2023, portando il valore di questa importante componente del prezzo a salire da circa 20€/mc del 2019 a circa 60 €/mc del 2023.
L’Antitrust ha spiegato anche il modus operandi di ENI e delle altre aziende petrolifere, indicando che le società “hanno attuato contestuali aumenti di prezzo - in gran parte coincidenti - determinati da scambi di informazioni diretti o indiretti tra le imprese interessate”, e precisando che “il cartello è stato facilitato dalla comunicazione del valore puntuale della componente bio in numerosi articoli pubblicati su Staffetta Quotidiana, noto quotidiano di settore, grazie anche alle informazioni inviate direttamente da ENI al giornale”.
Nessun trauma di Borsa per le azioni ENI a Piazza Affari, che oggi segnano un solido rialzo.
Da ENI “profonda sorpresa” per “ricostruzione artificiosa”. Una “sanzione ingiusta e abnorme”
Immediata la reazione di ENI, colosso petrolifero guidato dall’amministratore delegato Claudio Descalzi:
“In merito alla sanzione annunciata oggi dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), conseguente al procedimento avviato oltre due anni fa, ENI esprime il più fermo dissenso e la profonda sorpresa per le conclusioni dell’Autorità, che ha ritenuto la società partecipe di una presunta intesa restrittiva della concorrenza tra le principali società petrolifere operative in Italia nel settore dei carburanti per autotrazione, per quanto riguarda il costo della componente bio del prezzo del carburante, introdotta dalle compagnie nei carburanti tradizionali per ottemperare agli obblighi normativi”.
Il gruppo, quotato sul Ftse Mib di Piazza Affari, ha aggiunto che, “nonostante la piena collaborazione e la trasparenza assicurata da ENI durante tutto il corso dell’istruttoria, l’impianto accusatorio dell’AGCM si fonda su una ricostruzione artificiosa che ignora le logiche di funzionamento del mercato e travisa la realtà dei fatti, decontestualizzando comunicazioni legittime legate ai rapporti di fornitura reciproca tra gli operatori”.
In particolare, “l’AGCM ignora le evidenze emerse nel corso dell’istruttoria, che dimostrano come ENI e gli altri operatori abbiano sempre agito in autonomia e spesso in disallineamento, così come infondate risultano anche le valutazioni riguardo alla pubblicazione dei prezzi sulla stampa di settore, dato che le informazioni relative alla variazione dei prezzi della componente bio erano già note al mercato e, quindi, non in grado di condizionare le dinamiche concorrenziali”.
Ancora, nel comunicato stampa di ENI viene contestato il fatto che “la decisione dell’AGCM appare, peraltro, ancora più paradossale se si considera che riguarda una componente, imposta da obblighi normativi, che incide solo per pochi centesimi al litro sul prezzo al consumo del carburante e colpisce ingiustificatamente condotte commerciali corrette e trasparenti, disincentivando l’efficienza e l’innovazione in un settore strategico per il Paese”.
L’azienda ha concluso facendo notare che “un simile approccio, purtroppo non nuovo da parte dell’Autorità, rischia di penalizzare ulteriormente gli investimenti industriali italiani nella transizione energetica ” e che, “oltre al danno derivante da un’ingiusta sanzione, di importo assolutamente abnorme, il provvedimento odierno costituisce inoltre un ennesimo grave danno reputazionale per ENI, che viene accostata a pratiche collusive alle quali è del tutto estranea”.
Così si conclude la nota del gruppo guidato dal CEO Descalzi:
“ENI, pertanto, come già fatto in passato in relazione alla sanzione già ricevuta per asserite pratiche commerciali scorrette proprio in relazione ai propri biocarburanti (caso Diesel+), annullata definitivamente dal Consiglio di Stato dopo oltre 5 anni dalla sua irrogazione, tutelerà con determinazione le proprie ragioni e la propria immagine in ogni sede competente”.
Prezzi benzina manipolati? Opposizione all’attacco contro il governo Meloni
Il caso diventa subito politico, per ovvie ragioni, nel bel mezzo del malcontento dei consumatori italiani, stremati da prezzi della benzina troppo alti.
Il vicepresidente della commissione attività produttive della camera, esponente del Partito democratico Vinicio Peluffo, ha chiesto l’audizione dell’Antitrust, lanciando al contempo una stoccata contro il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il dito è puntato contro tutto il governo Meloni:
“Davanti a una sanzione di portata senza precedenti 936 milioni complessivi comminati dall’Antitrust a sei compagnie petrolifere (Eni, Esso, Ip, Q8, Saras e Tamoil) per intesa restrittiva della concorrenza non è più tollerabile l’inerzia del Governo”, ha tuonato Peluffo, continuando: “Il Ministero guidato da Urso non può continuare a nascondersi dietro il silenzio: deve chiarire con urgenza cosa abbia fatto o non abbia fatto per prevenire e vigilare su pratiche che se confermate avrebbero gravemente danneggiato cittadini, famiglie e imprese”.
Ancora, così l’esponente del PD:
“Se non sono stati adottati strumenti adeguati di controllo, qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di tali mancanze. È inaccettabile che, a fronte di un danno così grave per il mercato e per i consumatori, il Governo sembri non essersi accorto di nulla. La trasparenza e la tutela dei cittadini non sono opzionali: sono un dovere”.
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