Il ruolo del dollaro come valuta di riserva globale garantisce stabilità e potere finanziario agli USA, ma secondo alcuni economisti comporta anche costi economici e squilibri commerciali interni.
Nel corso degli anni, mi è stato chiesto un numero sorprendentemente elevato di volte (almeno per me) se il dollaro statunitense rischiasse di perdere il suo status di «valuta di riserva» globale – cioè la valuta in cui sono denominate la maggior parte delle transazioni internazionali. L’assunto implicito in questa domanda è che sia un bene per l’economia statunitense che il dollaro ricopra tale ruolo. Dopotutto, quando importazioni ed esportazioni sono denominate in dollari, le imprese statunitensi coinvolte nel commercio internazionale non devono preoccuparsi delle fluttuazioni del tasso di cambio.
Quando due valute non in dollari vengono scambiate nei mercati valutari, di solito, dietro le quinte, la valuta A viene convertita prima in dollari USA, e poi questi vengono convertiti nella valuta B. Grazie a tutte queste funzioni del dollaro, molte aziende, istituzioni finanziarie e governi nel mondo desiderano detenere riserve di dollari. Inoltre, poiché gli investitori di tutto il mondo vedono il dollaro come un «bene rifugio», esiste una domanda costante per il debito pubblico statunitense, per cui il governo degli Stati Uniti non deve preoccuparsi (troppo) di trovare acquirenti quando ha bisogno di prendere in prestito denaro.
Anche il presidente Trump sembra apprezzare l’idea del dollaro come valuta di riserva globale. Ad esempio, durante un evento della campagna elettorale lo scorso settembre, è emerso l’argomento di altri paesi che cercavano di accordarsi su una valuta alternativa (o un mix di valute) per sfidare la supremazia del dollaro. Trump ha dichiarato: “Non lascerete il dollaro con me. Vi dico che se lasciate il dollaro, non farete affari con gli Stati Uniti perché imporremo un dazio del 100% sui vostri beni.” [...]
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