Giustizia riparativa, riforma Cartabia: cos’è, come funziona e per quali reati si applica

Ilena D’Errico

23/09/2023

23/09/2023 - 00:07

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Giustizia riparativa, il primo caso in Italia è quello di Davide Fontana, condannato per l’omicidio della giovane mamma Carol Maltesi. Ecco di cosa si tratta, come funziona e cosa comporta.

Giustizia riparativa, riforma Cartabia: cos’è, come funziona e per quali reati si applica

Il primo precedente riguardante la giustizia riparativa introdotta dalla riforma Cartabia riguarda Davide Fontana, condannato in primo grado a 30 anni di reclusione per l’omicidio, lo smembramento e l’occultamento di cadavere di Carol Maltesi, ora ammesso alla mediazione.

La procura e le parti civili (i genitori e il marito della vittima) si sono opposti duramente alla notizia dell’ammissione a questo percorso, fondato sulla riabilitazione, la responsabilizzazione e la riparazione del danno, e giudicato incompatibile con un crimine tanto efferato. La sensibilità comune appoggia questa analisi, anche se non è prevedibile che tipo di effetto avrà il percorso sulla situazione penale.

Di certo, si tratta del primo caso di giustizia riparativa affrontato dai tribunali italiani secondo le novità della riforma Cartabia e costituirà un precedente importante, se non di diritto per lo più per quanto riguarda l’organizzazione pratica degli incontri e il loro svolgimento. Ma facciamo chiarezza: ecco cos’è la giustizia riparativa, come funziona, per quali reati si applica e soprattutto cosa comporta l’ammissione del condannato a questo percorso.

Cos’è la giustizia riparativa

La giustizia riparativa è un istituto introdotto dalla riforma Cartabia per ottimizzare la riabilitazione e il reinserimento sociale di chi ha commesso reati, puntando sulla comprensione attiva dei danni causati e impegnandosi nella loro riparazione.

Questo istituto ha quindi le potenzialità per essere molto efficace, essendo orientato ad alcuni principi cardine del nostro diritto penale: la funzione rieducativa della pena e la riparazione del danno. Non si tratta, quindi, di un’agevolazione per gli autori dei crimini, come potrebbe apparire agli esterni al settore, quanto più di un metodo per rendere anche le condanne più funzionali per entrambe le parti.

Di fatto, l’ordinamento prevedeva programmi di riabilitazione e riparazione del danno già tempo prima della riforma Cartabia, che ha semplicemente introdotto questo istituto più specifico, che assume la forma di mediazione. Per esempio, diversi istituti penitenziari prevedevano già gruppi di ascolto tra vittime e autori di reato, mediati da personale specializzato che guidi l’esperienza.

Come tutti i paradigmi giuridici, non è possibile fare una valutazione di merito generica sulla giustizia riparativa: ciò che conta è la sua applicazione al caso concreto, per cui è rimessa alla valutazione dei giudici competenti.

A cosa serve

La sola punizione ha dimostrato di non risultare produttiva, né a livello sociale ma nemmeno per quanto riguarda i soggetti direttamente coinvolti dal reato. La pena fine a sé stessa risponde in maniera limitata al bisogno di sicurezza, poiché allontana i soggetti potenzialmente pericolosi dalla collettività, ma non è un deterrente efficace per interrompere la commissione di reati.

Allo stesso tempo, è necessario che gli autori dei reati comprendano la ragione primaria per cui sono chiamati a risponderne penalmente, che non deve essere semplificata al “lo vieta la legge”. Tanto per fare un esempio, chi commette un furto dovrà capire a fondo perché il furto è un reato e quali conseguenze arreca, perché lo ha commesso e come può riparare il danno subito dalle vittime.

In questo modo si compie più facilmente il percorso rieducativo, che viene capito e interiorizzato – almeno auspicabilmente - anziché assorbito passivamente per tentare di ottenere benefici in tribunale. Per quanto riguarda le vittime dei reati, è evidente che il concetto giuridico di riparazione è molto lontano da quello che potrebbero necessitare, soprattutto per i crimini più gravi per cui non c’è una vera e propria risoluzione.

La giustizia riparativa, tuttavia, rappresenta un diritto anche per le vittime, che possano ricevere la riparazione del danno in modo più specifico e personale, se lo desiderano, oltre alla giustizia richiesta all’ordinamento in termini di punibilità.

Come funziona

La giustizia riparativa si basa su incontri tra le vittime e gli autori di reato, guidati da esperti psicologi e assistenti sociali che fungono da mediatori nei Centri appositi. In particolare, viene stabilito un calendario di colloqui per un periodo da 3 a 6 mesi, in cui si svolgeranno gli incontri di confronto per analizzare il contesto in cui è accaduto il reato e le sue conseguenze emotive e materiali e permettere alle vittime di ottenere risposte sulle ragioni che hanno portato al fatto.

Ovviamente la vittima partecipa a questi incontri soltanto se manifesta il suo consenso e finché ritiene di farlo, altrimenti il tribunale competente può selezionare una vittima aspecifica – che ha subito lo stesso tipo di reato – e in alternativa realizzare gruppi di ascolto.

Al termine degli incontri e in base al percorso, si possono avere esiti riparativi simbolici o materiali (o quando possibile anche entrambi). Per riparazioni simboliche si intendono quelle azioni dell’autore del reato volte ad ammettere il suo errore alla vittima e alla collettività, impegnandosi a ravvedersi, come scuse formali o accordi riguardo alla frequentazione di luoghi o persone.

Gli esiti materiali comprendono invece i danni del reato che non riguardano (o non prettamente) la sfera morale ed emotiva delle vittime.
In primis, ci sono il risarcimento del danno e la restituzione, ma non essendo possibili o efficaci per tutti i reati, specie se non patrimoniali, sono esiti riparatori tutti quei comportamenti volti ad attenuare le conseguenze del reato o evitarne ulteriori. Questi sono comunque valutati secondo l’impegno dell’autore del reato e le necessità della vittima.

Spetta comunque ai tribunali individuare il protocollo più specifico per l’applicazione della giustizia riparativa.

Per quali reati si applica e cosa comporta per la condanna

La riforma Cartabia non ha individuato particolari limitazioni all’istituto della giustizia riparativa che, per sua stessa funzionalità, è ammessa per qualsiasi reato e può essere richiesta in ogni stato del processo. Queste due caratteristiche sono strettamente correlate, perché il richiedente non è tenuto ad ammettere la propria responsabilità e tutte le informazioni ottenute durante gli incontri non sono utilizzabili in tribunale.

In ogni caso, la richiesta è valutata dal giudice (o dal pubblico ministero in fase di indagini preliminari) per analizzarne i presupposti di fondo: la potenziale utilità del percorso alla risoluzione, l’assenza di pericolo per gli interessati e per l’accertamento dei fatti. È fondamentale sapere che la partecipazione a questo istituto non comporta automaticamente benefici di qualche genere o sconti di pena. Al termine del percorso, il giudice competente riceve dal mediatore una relazione sull’andamento e sull’esito prodotto.

Gli esiti positivi della mediazione possono però essere considerati in sede di giudizio per valutare la gravità del fatto, la sospensione condizionale della pena, la remissione della querela e le attenuanti, ma sempre secondo l’apprezzamento del giudice fondato su tutti gli elementi utili. L’esito negativo o l’interruzione della mediazione, invece, non produce effetti.

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